Il sottile confine fra dramma e documentario: Buongiorno Notte (2002)

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    Estraneo all’impostazione classica del thriller, alla tentazione del retropensiero e al fascino della fantapolitica, “Buongiorno, Notte” ha un tratto teatrale: il palco è il covo dove lo statista rapito è detenuto dal commando brigatista, mentre il compito di rendere il clima dell’epoca è affidato a spezzoni di servizi tv e ad una maldestra, quanto rara ricostruzione di esterni (in un’ìnquadratura compare un’Alfa 164, un modello di auto che nel 1978 non esisteva).

    L’impressione iniziale è quella di un film un po’ sciatto sotto l’aspetto dell’accuratezza e della precisione della rappresentazione, tanto da lasciar pensare che l’autore non si sia volutamente curato di questi aspetti, anzi che non intendesse girare affatto un film documentario, né suggerire interpretazioni dei fatti nuove o, tanto meno, schierarsi a favore di ricostruzioni più o meno fantasiose.

    Nel film, Moro è stato evidentemente abbandonato al suo destino dai compagni di partito, sulla scorta di un preciso calcolo politico. Una tesi, in fondo, legata al contesto della vicenda, quella che vorrebbe il “sacrificio” dello statista come mezzo per mettere definitivamente in cattiva luce lo spontaneismo armato delle BR. In realtà, il regista insiste spesso sul mancato seguito che l’azione criminale ebbe nelle classi subalterne, sul suo fallimento come exemplum sanguinoso, sul fatto, insomma, che la guerra civile in Italia non la voleva nessuno e che i brigatisti erano, prima di tutto, preda di un sogno (o incubo) rivoluzionario largamente smentito dalla realtà del paese.

    Colpisce lo stupore dei brigatisti nello scoprire alla tv quanto fuori dalla realtà fosse la propria percezione della classe operaia italiana. Eppure senza averne una piena consapevolezza, anzi, allontanando tale dubbio da sé, con una irrazionalità tipica di chi non accetta l’evidenza, di chi è già avviato sulla china di una psicosi autoreferenziale.

    Le BR non compresero il passato e non avevano compreso il presente dell’Italia, non ebbero mai una cittadinanza ideologica nella storia del nostro paese, né padri nobili. Come tale ascendenza non poteva essere offerta loro dalla vicenda della Resistenza così non c’era spazio per le rivendicazioni brigatiste nel presente rappresentato dal film. Semplicemente gli italiani volevano altro.

    Una rappresentazione del caso Moro fortemente incentrata sulla dissonanza fra il sentire comune degli italiani ed il sentire ideologicamente determinato dei brigatisti, sul loro isolamento quasi monastico, sul loro fervore politico quasi religioso eppure lucidamente delirante.

    Si è voluto forse rappresentare un caso di degenerazione psicotica della personalità, più che un caso di estremismo politico.

    E questo, quale che sia la verità sul caso Moro.

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