Il testamento di Claudio Caligari

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    mastandrea-caligariClaudio Caligari se la starà ridendo all’altro mondo: il suo ultimo lavoro, ultimo anche nel senso che Caligari purtroppo non ha potuto vederlo distribuito al cinema, rappresenterà l’Italia agli Oscar. Un’atroce ironia quella toccata al regista di Arona, autore davvero poco prolifico (Amore Tossico, L’Odore della Notte e, appunto, Non essere cattivo), ma certamente fra i più acuti rappresentanti di un cinema noir, intimamente legato alla realtà concreta delle marginalità metropolitane.

    Un autore originalissimo e raffinato, eppure vissuto in una oscurità professionale incredibile, dopo l’exploit di “Amore tossico”, che gli ha negato il riconoscimento della statura intellettuale che pure certamente aveva: basta vederlo in un’intervista di venti minuti in cui racconta il suo esordio come documentarista ed il suo interesse per il problema della droga che lo porta all’esperimento di “Amore Tossico” – girare un film sulla vita degli eroinomani di Ostia a cavallo fra anni 70 e 80 con veri tossicodipendenti. Con Caligari è andata così: il suo film, in un’epoca senza internet e youtube, girava su certi VHS semiclandestini che potevi trovare in edicola e, certamente, avrà avuto i suoi bei problemi di distribuzione con la Commissione per la revisione cinematografica.

    Nel 1998 gira un altro film, un noir incredibile che ha ispirato, certamente, il filone moderno delle “crime novel” (Gomorra e Romanzo Criminale soprattutto), “L’odore della notte”, genialmente diretto in una luce quasi sempre notturna di una Roma umida e autunnale, e sorretto dalla presenza di tre ottimi interpreti, Mastrandrea, Giallini e Tirabassi (tutti e tre giovanissimi).

    Si tratta di una storia che, nuovamente, ripropone l’attenzione di Caligari per le marginalità metropolitane, incentrata sulla doppia vita di Mastrandrea, Remo nel film, un poliziotto di giorno/rapinatore violento di notte che vive un percorso autodistruttivo ed ossessivo, nel quale il crimine è allo stesso tempo una droga adrenalinica, ma anche un gesto di rivolta contro una società di ricchi, lontana ed opprimente.

    Infine, dopo un lunghissimo periodo di silenzio, Caligari torna nelle sale, grazie al supporto e al coraggio di Valerio Mastrandrea, amico e interprete del suo secondo film, in un ultimo eccellente lascito al cinema italiano (che non lo ha amato e certamente non lo merita) “Non essere cattivo”.

    Di nuovo una storia di marginalità e di periferia, ancora una volta ad Ostia, “Non essere cattivo” ci racconta, senza giudicare, l’umanità caotica e sofferente di due amici, due balordi del Litorale capitolino, ai quali la vita e la società hanno offerto soltanto dolore e povertà: la scelta fra una vita di sballo permanente – sono gli anni ’90, dall’eroina si è passati alla coca ed alle paste (le droghe chimiche, le smart drugs in compresse) – e la discesa agli inferi della realtà di una vita proletaria e faticosa.

    Caligari, nel descrivere la disperata ricerca di un ubi consistam esistenziale dei due protagonisti di “Non essere cattivo”, ottimamente interpretati dalla coppia di giovani interpreti Marinelli (lo ricorderete nella parte del giovane suicida ne “La Grande Bellezza) e Borghi, ha un occhio di riguardo per le donne, nonne, nipoti e compagne, e per la loro capacità di preservare, nonostante tutto, la vita e il futuro.

    In qualche misura saranno infatti le donne a salvare sia Vittorio che Cesare: sono intense e struggenti Roberta Mattei e Silvia D’Amico, dolenti e forti nel loro sforzo erculeo, nel loro istinto creativo, femminile e materno, nel loro farsi carico del dolore del presente e della speranza del futuro, con la quale si chiude il film-testamento di Caligari.

    Ricordiamocelo allora questo intellettuale schivo e acuto, andando a vedere il suo film e sperando nell’improbabile (un Oscar postumo), per ricordarlo poi, con il suo amico Mastrandrea, con questo aneddoto: “ ‘Muoio come uno stronzo. E ho fatto solo due film’. Se n’è uscito così, ad un semaforo rosso di viale dell’Oceano Atlantico circa un anno fa. Stavamo andando insieme a parlare con un amico oncologo in ospedale”.

    Cosimo Benini

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