Locke (USA/GB 2014)

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    lockeCelebrato dalla critica e dalle valutazioni positive del pubblico, Locke, singolare road movie basato esclusivamente sulla performance di Tom Hardy, è una di quelle trappole così ben confezionate da trasudare il rischio di delusione certa da ogni poro. Una sensazione della quale, di solito, dovrei fidarmi, cosa che in questo caso non ho fatto, pentendomene amaramente.

    La storia in breve: Ivan Locke, capomastro, esperto di colate di cemento (!), esce di notte dal cantiere per salire a bordo della sua auto e tornare a casa. Ma, all’improvviso, decide di recarsi altrove, compiendo una scelta precisa che lo porterà a devastare la sua vita oltre ogni ragionevole forma di masochismo.

    E non è un thriller. E’ soltanto un film drammatico che si svolge tutto all’interno dell’abitacolo della macchina del protagonista che dialoga al cellulare, in vivavoce, con una serie di personaggi (moglie, amante, collega, capo ecc.), mentre il SUV si muove pacatamente su un’autostrada, di notte.

    Chi pensa a Collateral di Michael Mann stia alla larga: le uniche due cose che questi film hanno in comune sono l’ambientazione notturna e la presenza di scene con dialoghi che si svolgono in un’auto.

    Al di là delle motivazioni psicopatologiche che portano il protagonista, Ivan Locke, a gestire malissimo una situazione che potrebbe anche essere ancora recuperabile, quello che ammazza veramente il film è il carattere anaffettivo del nostro capomastro, ben sottolineato da un doppiaggio devastante che esacerba ancora di più, se possibile, la temperatura glaciale del suo umore.

    Locke non è un uomo. Locke è un meccanismo pseudoetico, schiacciato dall’odio per un padre (morto) che lo ha abbandonato in fasce, da un impossibile desiderio di rivalsa su di lui, da uno strampalato senso di giustizia che porterà solo devastazione nella sua vita.

    In altre parole Locke è un idiota testardo che si crocifigge ad una decisione stupida e poco lucida e prosegue stoicamente verso il muro di cemento personale che si costruisce con tre telefonate, sino a schiantarcisi contro.

    Il finale, poi, non riserva nulla allo spettatore se non l’ovvietà che è la cifra costante del film. Potrete addormentarvi in sala (come mi è capitato) certi di ritrovare il buon Ivan alla guida del suo SUV che, con grande pacatezza, si autodistrugge al telefono mentre sgranocchia caramelle e trangugia sciroppo.

    Ebbene si. Locke è anche raffreddato oltre che testardo e stupido.

    L’emozione da spettatore è la noia. Se penso a come ero rimasto appiccicato allo schermo per Collateral, trascinato in una notte da incubo per un tassista di Los Angeles, mi viene da piangere.

    (Cosimo Benini)

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