Le rubriche di RomaDailyNews - OPS - Opinioni politicamente scorrette - di Arrigo d'Armiento

Ainis: in Italia la tortura c’è, il reato no

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    L’Italia ha un primato mondiale senza rivali: si chiama Cesare Beccaria, il primo a chiedere l’abolizione della pena di morte e della tortura. La prima pena è stata abolita definitivamente in Italia nel 1948, la seconda non è mai stata abolita semplicemente perché il reato di tortura non è mai stato previsto dal codice penale. Insomma, per la giustizia italiana la tortura non esiste, non si può quindi vietare una cosa che non esiste. Già, ma il nostro paese ha aderito nel 1988 alla Convenzione contro la tortura e poi s’è dimenticato di fare una legge che dica che cosa è la tortura e che è vietato praticarla.

    E adesso arriva la sentenza della Corte europea di Strasburgo che ha riconosciuto che si è trattato di tortura il trattamento riservato dalla polizia ai manifestanti anti-G8 sorpresi a dormire il sonno dei giusti – e anche degli ingiusti, per la verità – nella scuola Diaz di Genova. Un’azione che è stata letta come una sorta di vendetta contro chi aveva messo a ferro e fuoco la città, e anche contro chi non lo aveva fatto, durante la riunione internazionale. C’è stato un processo, ci sono state delle condanne, ma non per il reato di tortura, visto che nel nostro ordinamento non esiste.

    E adesso a essere condannata è l’Italia, dove di leggi e leggine se ne sfornano un’infinità, ma ben poche riguardano la difesa dei diritti civili. Michele Ainis, sul Corriere della sera di oggi, elenca uno spietato campionario delle sentenze europee che condannano l’Italia per inadempienze in materia di diritti civili. “I nostri processi – scrive Ainis – durano più di un`era geologica; dal 1999 la Corte europea dei diritti dell`uomo ci bastona, perfino con 24 sentenze di condanna pronunziate in un solo giorno (16 gennaio 2001). Nel febbraio 2012 la medesima Corte ci ha punito per i respingimenti in mare verso la Libia (…). Nel gennaio 2014 ha stabilito il diritto d`attribuire ai figli il solo cognome della madre, formulando anche in quel caso l`esigenza di correggere la legislazione italiana. Nell`agosto 2000 fu la volta degli sfratti decretati e mai eseguiti (…)”.

    Questo, dice Ainis, “è soltanto il frontespizio del librone dei nostri peccati. Nell`ottobre 2008 la Corte di Strasburgo verga l`ennesima sentenza di condanna: 80 mila euro a un padre accusato ingiustamente, cui per 10 anni le autorità italiane avevano impedito di rivedere la figlia. Nel novembre 2014 un`altra randellata, stavolta perché il nostro Paese non offre sufficienti garanzie per i rifugiati. Infine la celebre sentenza contro il sovraffollamento carcerario (…). Senza dire degli interventi firmati da altri giudici europei: per esempio dalla Corte di giustizia, che nell`aprile 2011 bocciò sonoramente il reato di clandestinità, introdotto due anni prima nel «pacchetto sicurezza». O senza citare i moniti dettati dallo stesso Parlamento dell`Unione: nel luglio 2001 si pronunziò a favore del rientro dei Savoia, in nome della libertà di circolazione”.

    “Per sovrapprezzo, aggiunge Ainis, a bocciarci è un giudice straniero. Inoltre la bocciatura costa, in quattrini oltre che in reputazione. E le sentenze della Corte di Strasburgo sono direttamente vincolanti per gli Stati. Noi invece, per lo più, preferiamo svicolare. Oppure le traduciamo in chiacchiere di carta, usando la carta delle Gazzette ufficiali. Per esempio rispetto alla ragionevole durata dei processi: nel 1999 l`abbiamo iscritta nell`art. 111 della Costituzione, ma l`anno dopo il tempo medio dei giudizi penali è lievitato da 1451 a 1490 giorni. O altrimenti rispetto al sovraffollamento nelle carceri: una leggina addosso all`altra, però ospitiamo ancora 4.000 detenuti di troppo. E la tortura, che ci ha fatto guadagnare l`ultima medaglia? Nel 1955 abbiamo ratificato la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell`uomo (che ne prescrive il divieto), nel 1988 la Convenzione contro la tortura. Ma ogni ratifica rimane per aria, come un prosciutto appeso al soffitto”.

    Un breve commento in aggiunta al commento di Ainis. Non credo che in Italia la tortura sia praticata per decisione delle autorità, di solito anche troppo prudenti nel dare ordini alle forze di polizia, ma se non si mette scritto nero su bianco in una legge che cosa è la tortura, non si può nemmeno sapere quando, come e da chi viene commesso il reato. Quanto alla lunghezza incivile dei processi, non è vero che l’Italia non faccia niente. Anzi, fa fin troppo, solo che, invece di ridurne la durata, allunga i tempi della prescrizione, autorizzando di fatto l’allungamento dei farraginosi procedimenti. E così arrivano le condanne europee e i cittadini sono costretti a mettere mano al portafogli per pagare i danni delle inadempienze di istituzioni distratte e inefficienti, senza poter fare niente per cambiarle.

     

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