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Ainis: Rai, come (non) garantirne l’indipendenza

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    Rai - Viale Mazzini

    Rai – Viale Mazzini

    In Italia, chi ha un briciolo di potere si sente in obbligo di abusarne. Mussolini sul diritto di abusare del potere costruì un regime e la democrazia (si fa per dire) italiana volete che vi rinunci? Per questo motivo le riforme in direzione democratica in Italia non si fanno mai. Inutile illudersi che il governo, la maggioranza, i partiti rinuncino a usare la Rai come cosa loro invece che come cosa dei cittadini.

    Tutto questo lo sa sicuramente anche Michele Ainis, che però si diverte sul Corriere della sera di oggi a elencare le incongruenze tra parole e azioni, tra proclami democratici e regole capestro nel voler riformare, sempre in peggio, la gestione d’un carrozzone che fa troppo comodo ai partiti così com’è.

    Ieri, attacca Ainis nell’editoriale, “è andata in onda la prima fiction della nuova stagione: la riforma della Rai. Con uno sceneggiato, o forse con una sceneggiata, fate voi. Quella imbastita dalla minoranza della maggioranza, votando insieme alla maggioranza della minoranza sul finanziamento della tv di Stato. O anche quella del governo. Aveva detto: mai più vertici Rai eletti con la legge Gasparri, e infatti il 4 agosto i nuovi vertici verranno eletti applicando la Gasparri. Da chi? Dalla commissione parlamentare di Vigilanza, dove intanto i centristi chiedono un riequilibrio. Tradotto: più posti in Vigilanza per incassare posti nel prossimo cda”.

    Potrebbe bastare questo per dimostrare la volontà dei partiti di garantire l’indipendenza della Rai, che – come ha osservato anni fa il filosofo foggiano Renzo Arbore – “non è la Bbc” come invece vorrebbero farci credere di volerla far diventare i falsi riformatori.

    Ainis spiega poi, per chi lo avesse dimenticato, qual è “la legge sempiterna della televisione pubblica: si chiama lottizzazione, una lotteria dove ogni partito ha in tasca il biglietto vincente. Nel corso dei decenni è cambiato il nome dei partiti, ma resta sempre attuale la battuta confezionata ai tempi di mamma Dc. «In Rai hanno assunto cinque giornalisti: due democristiani, un socialista, un comunista e uno bravo». È cambiato, inoltre, il numero dei consiglieri d’amministrazione: prima 6, poi 16 con la riforma del 1975, poi 5 dal 1993, poi 9 dal 2004, ora diventeranno 7. Insomma, la politica continua a dare i numeri, ma alla Rai servirebbe invece una parola, una soltanto. L’indipendenza. È quest’attributo, infatti, che giustifica l’esistenza del servizio pubblico radiotelevisivo”.

    Il resto dell’articolo andate a leggerlo sul Corriere di carta o su quello online. Ne vale la pena: Ainis fa capire come meglio non si può la trama della sceneggiata, che ha per scopo quello di far credere che la riforma punti all’indipendenza della Rai mentre cerca di soffocarne i rari palpiti.

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