Democrazia è rottamare il capo
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Solo in democrazia il popolo può rottamare il capo, mettendo la croce sul simbolo giusto. La gente lo ha capito e è accorsa alle urne con una affluenza che non si vedeva da tempo, quasi il 70 per cento degli aventi diritto al voto. E ha rottamato il presidente del consiglio, insieme alla riforma costituzionale avventata da lui imposta a un parlamento recalcitrante.
Fa così il padrone di casa, quando ogni tanto licenzia qualcuno della servitù, tanto per ricordare agli altri dipendenti chi è che comanda. E nella casa degli italiani il padrone è il popolo, checché ne pensino gli illuminati, gli ottimati, quelli che sognano di consentire il voto solo a chi fa parte della casta degli intellettuali, possibilmente ben schierati col politicamente corretto, il politicamente di moda, la moda imposta da chi vuole trarne vantaggio a spese di tutti gli altri.
Chi ha votato No ha voluto licenziare un capo di cui non si fidava più, se mai se n’era fidato. E ha voluto buttare nel cestino una riforma costituzionale di cui ha capito poco, ma quel poco era l’essenziale: troppi cambiamenti, troppe modifiche, troppe parole per non sentire puzza d’imbroglio.
La gente, anche quella meno preparata sull’ingegneria istituzionale, la gente che si perde davanti a testi lunghi e complicati, che fatica a seguire le spiegazioni di chi la vuole cotta e di chi la vuole cruda, una cosa la capisce sùbito e meglio dei più avveduti costituzionalisti di lungo corso e di quelli improvvisati: la puzza d’imbroglio. Un odore acre che si avverte anche da lontano. E boccia l’imbroglio e rottama chi lo ha proposto.
Arrigo d’Armiento