Le rubriche di RomaDailyNews - OPS - Opinioni politicamente scorrette - di Arrigo d'Armiento

L’Italia del dopoguerra inseguita da Montanelli al Giro

Più informazioni su

    INDRO AL GIROSe il direttore avesse dato da commentare l’elenco telefonico a Montanelli, lui l’avrebbe trasformato in un racconto avvincente, con tanti personaggi, ognuno diverso dall’altro, con storie e faits divers che avrebbero tenuto incollato il lettore al giornale fino alla fine, magari dopo aver staccato la cornetta del telefono.

    Al posto delle pagine bianche, o di quelle gialle, nel 1947 il direttore del Corriere della sera, Guglielmo Emanuel, lo incaricò di commentare il Giro d’Italia. Indro non aveva specifiche competenze sul ciclismo, salvo l’esperienza giovanile che gli veniva dalle scorribande sulle due ruote dalle parti di Fucecchio. Dovette accettare, perché al Corriere non poteva scrivere di politica: era in quarantena dopo essere stato sospeso per sei mesi dall’albo dei giornalisti per il suo passato fascista. Un passato che era passato da tempo, Montanelli era uno dei pochi a essere diventato antifascista, da fascista che era, già prima della guerra. Mario Melloni, diventato popolare in seguito come il Fortebraccio dell’Unità, riuscì a farlo soltanto sospendere per sei mesi, evitandogli la radiazione che i colleghi del comitato di epurazione gli volevano affibbiare nonostante Indro fosse stato arrestato e condannato a morte dai tedeschi per aver partecipato alla Resistenza. Altri colleghi e scrittori, prontissimi a cambiar gabbana il giorno dopo il 25 aprile, hanno avuto onori e promozioni per essersi buttati a sinistra.

    “Indro al Giro – Viaggio nell’Italia di Coppi e Bartali. Cronache dal 1947 al 1948 (Rizzoli, 2016, 249 pagine, € 12,90) è la raccolta dei reportages di Montanelli a cura di Andrea Schianchi. Raccolta opportuna perché esce in un periodo in cui il ciclismo non è più lo sport più seguito, e la carovana di avventurosi pedalatori si è trasformata in una passerella pubblicitaria, con pochi eroi e ancora meno pubblico.

    Non c’era la tivù, allora. E la radio si limitava a un breve riassunto nei notiziari e alla diretta dell’arrivo al traguardo. Così, ai cronisti della carta stampata rimaneva il privilegio non solo di raccontare quel che vedevano, ma anche quel che non vedevano. In questo, Montanelli è sempre stato il numero uno, confermando che spesso il verosimile è più vero del vero. Nessuna balla, per carità, ma qualche invenzione sì. Come quando di un ex bersagliere, che amava seguire in bicicletta per mezza Italia i girini in fuga, fa un eroe del pedale, uno che corre senza poter sperare di guadagnare premi, accontentandosi di qualche applauso che il pubblico sulle strade polverose del dopoguerra non nega a nessuno.

    Non ci sono solo Coppi e Bartali nelle cronache di Indro, che preferisce raccontare le imprese dei gregari, dei comprimari, degli eroi di seconda fila. Coppi e Bartali addormentano la corsa, riservano le forze alle dure salite in montagna, passando la maggior parte del tempo a controllarsi a vicenda, per evitare che il rivale scappi e gli faccia un brutto scherzo. Eccoli qui gli eroi di Montanelli: c’è quello che corre per comprare una casa, quello che spera di racimolare premi che gli permettano di acquistare un corredino per la bambina, quelli che ottengono dai capi il permesso di lasciare il branco soltanto per passare per primi, in fuga solitaria, davanti al loro paesello natio. E questo dà l’idea dell’umanità dei pedalatori, siano essi campioni o portatori d’acqua. Chissà se lo fanno anche i ciclisti d’oggi.

    Riassumere, anche per sommi capi, le cronache di Montanelli al Giro, non solo è impossibile, ma sarebbe temerario, se non addirittura blasfemo. Montanelli va letto riga per riga, per godere di una lettura sempre trascinante, sempre ricca di notazioni, anche politiche e storiche, che solo lui è riuscito a associare al Giro d’Italia. Nessun trattato di sociologia è più ricco, più preciso, più convincente, più vero di quello contrabbandato da Indro dentro le cronache del Giro. Se volete conoscere come era l’Italia del dopoguerra, date retta a me che me la ricordo: leggete questo libro, imparerete di più che sulle rievocazioni dei professori di storia e delle autorità impegnate, per dovere di carica e per esigenze di visibilità, a leggere discorsi banali e ampollosi in ogni occasione. E, per di più, vi divertirete.

    Arrigo d’Armiento

    Più informazioni su