Ainis: il Senato si trasforma in un “inciampo”

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    MICHELE AINIS

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    Povero Senato! Chi lo vuole abolire, chi trasformare in camera delle Regioni e chi gli toglie un giorno sì e un giorno no una funzione, un compito, fino a ridurlo a uno stipendificio per i dipendenti, che pare brutto licenziare solo perché i senatori non avranno niente da fare. Sul tema torna oggi sul Corriere della sera Michele Ainis, che non sa più che cosa inventarsi per costringere i politici a decidere di decidere che cosa fare del vecchio Palazzo Madama e dei suoi futuri inquilini.

    (…) “Mentre i partiti – scrive Ainis – s’accapigliano sull’elettività dei senatori, rimane sotto un cono d’ombra il senso stesso del procedere, la sua direzione. Eletti o negletti, che mestiere toccherà in sorte a lor signori? Qui sta il punto decisivo. Perché sono le funzioni di ogni organo, più ancora che il suo titolo d’investitura, a scolpirne il ruolo. Perché un Senato inutile costituirebbe altresì uno spreco: puoi togliere la busta paga ai senatori, ma il Palazzo ha un costo, bollette e funzionari devi pur pagarli. E perché le istituzioni possiedono una propria dignità, non meno delle persone. (…)

    Nel 1946, ricorda Ainis, “al debutto della Costituente, i due maggiori partiti mossero da concezioni opposte del Senato. La Democrazia cristiana intendeva farne un’assemblea rappresentativa dei territori e degli interessi produttivi; questo perché – diceva Mortati – le istanze regionali prendono corpo in un tessuto economico e sociale, diverso da Regione a Regione. Viceversa il Partito comunista, in sintonia con la posizione dei comunisti francesi all’alba della Quarta Repubblica, puntava su un sistema monocamerale; ai suoi occhi il Senato – come la Consulta – non era che un «inciampo», per usare l’espressione di Togliatti.

    Quelle due soluzioni, osserva Ainis, “avevano quantomeno il pregio della linearità, della chiarezza. Non è poco, perché se le idee sono confuse generano pasticci, e i pasticci si traducono in bisticci. Nel prossimo futuro potremmo ottenerne una riprova, circa il condominio legislativo d’un ventaglio di materie fra Camera e Senato, che spetterà ai loro presidenti districare. Anche se, per dirla tutta, i senatori avranno ben poche funzioni da rivendicare. Erano già misere nel testo concepito dal governo; al giro di boa la Camera le ha ulteriormente sforbiciate. Via la competenza sui temi etici, dalla sanità alla famiglia. Via l’attribuzione solitaria del controllo sulle politiche pubbliche, sull’attuazione delle leggi, sulle nomine decise dal potere esecutivo. Via l’esclusiva nei rapporti con l’Unione Europea. Via l’elezione di due giudici costituzionali. Via il concorso paritario del Senato perfino sulle leggi d’interesse regionale”.

    E questo, secondo il costituzionalista, è un paradosso, “giacché il Senato – scrive nero su bianco la riforma – «rappresenta le istituzioni territoriali». Già, ma come? Attraverso una caricatura della Camera dei deputati, con meno funzioni, meno componenti. Non una seconda Camera, bensì una Camera secondaria. (…)

    Comunque si risolva la querelle sull’elezione diretta del Senato, conclude Ainis, “è ancora più importante restituirgli una missione, un’anima. Senza più il voto di fiducia sui governi, ma conservando la fiducia popolare su questa antica istituzione. Anche perché, altrimenti, nel referendum saranno i cittadini a sfiduciare la riforma”.

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