In morte del Sor Giacinto detto Marco (Pannella)

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    PannellaNon aspettatevi la tirata su Pannella. Il coccodrillo smielato non è nelle mie corde, come non lo è quello telegrafico da velina di partito, mentre, di sicuro, lo è il fastidio epidermico per le sbrodolate in memoria dell’illustre scomparso. Pannella è stato, innanzitutto, Pannella, con Pannella al primo posto, Pannella come metro di misura del mondo, pietra miliare di sé stesso, padre padrone e despota ideologico e anti ideologico. Capace di tirate verbali fioritissime d’iperboli e complicate convoluzioni degne di un marinismo d’altri tempi: la “maraviglia” pannelliana, variante aulica della supercazzola cinematografica, era come una maratona per atleti non allenati. A patto di seguire il filo d’Arianna nel labirinto verbale, si correva il rischio della botta di sonno. Letale dopo pranzo, fastidioso quando ci si imbatteva in una delle sue pannellate, pochade circensi, rappresentazioni dal sapore d’atellana, eccessi plautini (come il famoso bicchiere di piscio) e varianti priapiche (Cicciolina e Moana in Parlamento, sublime burla del sor Giacinto che faceva il paio con il quasi coevo filmino intitolato “Cicciolina e Moana ai mondiali”).
    Non era simpatico, Pannella, e aveva la tendenza a oscurare gli altri protagonisti delle sue battaglie politiche (chi se li ricorda più Loris Fortuna ed Antonio Baslini? In Italia divorzio e Pannella sono sinonimi) oltre alla totale mancanza di pudore e continenza – fulgido esempio le giravolte del periodo filoberlusconiano per la cadrega o la protesta negli spalti per il pubblico in Aula al Senato, era il 2006.
    Non mancava certo di uno spudorato coraggio. Andò a raccogliere ceste di insulti in piazza alla Stazione Termini (anno domini 2011, periodo filo berlusconiano). La massa non lo capiva e forse anche lui aveva perso il contatto con il sentimento nazionale, quell’antipolitica che poi avrebbe partorito i grillini, il movimento dei forconi e la lega di Salvini. Era decisamente rimasto nella Prima Repubblica e con lui se ne va un altro pezzo di quell’Italia pre 1992 che non esiste quasi più.
    Lascia una diaspora radicale la cui pervicacia è forse pari a quella di certa diaspora socialista di matrice craxiana e, ironicamente, proprio le schegge delle due progenie si sono talvolta ritrovate nello stesso partito (mi vengono in mente Capezzone e Brunetta).
    Per me, comunque, Pannella resta magistralmente ritratto nel pistolotto televisivo che piove sul Fantozzi in crisi elettorale (insieme ad una insuperabile galleria di oramai defunti protagonisti del Belpaese di una volta), invitandolo alla pratica congiunta del sathtyagra (digiuno per fini politici), a patto, sia chiaro, che il Ragioniere nazionale si faccia carico dei cappuccini di sostegno.

    Cosimo Benini

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