Spengo il treno e me ne vado, succede solo a Roma

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    atac1Cosa sia effettivamente accaduto venerdì scorso sulla metro A, a parte i video di effetto che girano su internet, resta un mistero. Primo elemento anomalo: due sigle minori bloccano due linee su tre della metropolitana romana (evidentemente c’è stata adesione da parte di lavoratori non iscritti o iscritti ad altre sigle, come lascia intendere la difesa d’ufficio della CGIL aziendale), secondo elemento anomalo – dai profili di maggior gravità –  alcuni treni in circolazione sulla linea A al momento dell’inizio dello sciopero non hanno completato la corsa sino al deposito, ma si sono fermati in stazione, scatenando panico e una situazione estremamente pericolosa (oltre alla giusta ira degli utenti) per la sicurezza di tutti.

    Poi c’è la registrazione audio dell’ordine perentorio arrivato dalla Direzione Centrale Traffico al conducente di fermare il convoglio in stazione: attendiamo di sapere di chi fosse quella voce e che collegamenti avesse quella persona con le sigle che avevano proclamato lo sciopero.

    A parte queste considerazioni e a prescindere da quelle che saranno le conclusioni delle varie indagini avviate dall’azienda e dal Comune, l’aspetto di assoluta gravità di tutta la questione è che la situazione che si è venuta a creare sulle banchine delle stazioni interessate dal fermo imposto dalla DCT ha rappresentato un grave rischio per la sicurezza degli utenti e la dimostrazione che eventuali procedure per gestire situazioni simili non esistono o non vengono applicate. La priorità dovrebbe essere la sicurezza, per cui condurre la vetture in esercizio al momento dell’inizio dello sciopero a fine corsa dovrebbe essere normale e dovuto. In parole povere l’ultimo treno che parte prima dell’inizio della protesta deve concludere la corsa.

    Ci domandiamo se non si evidenzino profili di responsabilità per i sindacati che hanno indetto lo sciopero, per la catena di comando che ha diramato l’ordine di far sgombrare i vagoni in esercizio, addirittura lasciando gli utenti che, giustamente, non volevano scendere, al buio e senza condizionamento in vetture come i convogli CAF che hanno i vetri oscurati e non apribili. Ci domandiamo poi se l’Autorità Giudiziaria aprirà un’inchiesta anche se, francamente, dei licenziamenti e delle sanzioni ci interessa fino ad un certo punto: quello che fa scalpore è l’assoluta mancanza di percezione del livello di pericolosità delle conseguenze di un’azione tanto inconsulta, quanto violenta, cioè imposta a forza a un elevato numero di persone.

    In effetti chi ha dato quell’ordine va punito con la massima severità, scontando tutte le conseguenze, anche penali, della propria azione, ma come evitare che il bruttissimo precedente si ripeta? Come evitare cioè che, come si evince da precisi riferimenti pubblicati sul Messaggero, un conflitto latente fra amministrazione comunale, azienda e dipendenti, relativo alle ore effettivamente passate a condurre i treni, che sarebbe assai inferiore a quanto in essere presso le aziende del trasporto pubblico locale di altre grandi città italiane, possa ripercuotersi sul diritto alla mobilità o, peggio, sulla sicurezza dei viaggiatori?

    La vicenda getta purtroppo un raggio di luce sulle viscere oscure  del TPL capitolino e ne restituisce un’immagine inquietante, quella di un’azienda i cui dipendenti impongono una prevaricazione all’utenza pagante le cui conseguenze possono metterne a rischio l’incolumità: su quelle banchine o in quei vagoni lasciati al buio e senza climatizzazione sarebbe certamente potuto accadere qualcosa. Il fatto che non sia accaduto ed il fatto che, a parte una verbalizzazione aggressiva degli utenti infuriati, non si sia arrivati ad estremi ben più gravi è forse indice dello stato di prostrata rassegnazione dell’utenza romana, da anni flagellata da scioperi, disservizi, sporcizia, microcriminalità, fatiscenza delle strutture e dei treni, ma non rende quanto accaduto meno grave.

    Come cittadini utenti dobbiamo sperare che le inchieste facciano il proprio corso e portino alle giuste conseguenze, ma come persone dobbiamo chiederci fino a che punto l’individualismo irresponsabile che dilaga in Italia e a Roma in particolare in questi ultimi anni debba mettere a rischio la nostra sicurezza, devastando la qualità delle nostre vite quotidiane, prima che qualcosa possa cambiare in meglio.

    Cosimo Benini

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