Le rubriche di RomaDailyNews - OPS - Opinioni politicamente scorrette - di Arrigo d'Armiento

Giletti, provo a spiegarti chi è Raimondo Etro

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    Giletti, provo a spiegarti chi è Raimondo Etro –

    Caro Giletti, ho visto ieri sera Non è l’arena con l’intervento della senatrice Daniela Santanchè e dell’ex brigatista Raimondo Etro. Sono un vecchio amico di Raimondo, non compagno, appartengo alla parrocchia dei liberali conservatori, ben lontano dalla sinistra, moderata o estrema.

    Ho apprezzato come hai gestito lo scontro tra i due ospiti e come hai evitato di calcare la mano sulla persona dell’imputato, rispettandolo per il possibile. L’Etro che ne è uscito fuori è però solo in parte il ritratto di quello vero.

    Non giustifico Raimondo, ma cerco di capirlo. Figlio di una donna abruzzese laureata in legge, segretaria di redazione di un giornale, e di un avvocato sardo che non lo ha riconosciuto, un po’ la stessa storia di Renato Curcio, figlio illegittimo d’un notissimo regista. A 15 anni iscritto in un liceo romano, noto per aver ospitato nelle sue aule molti estremisti di sinistra e brigatisti, finisce per essere reclutato per partecipare alla lotta armata. A 15, a 16 anni è facile infatuarsi di professori estremisti, propagandisti di una dottrina, quella marxista, che promette la luna, anzi: il sol dell’avvenire.

    Quando aveva 21 anni, le Br decisero che era il momento del suo battesimo di fuoco. Gli misero in mano un’arma con il compito di assassinare il giudice Palma, circondato dal commando brigatista. Al momento di sparare non se la sentì di uccidere un uomo indifeso. Prospero Gallinari gli tolse l’arma dalle mani e provvide senza indugio a eseguire l’ordine.

    In quel momento Raimondo capì in quale guaio s’era cacciato, su quale strada sbagliata aveva camminato. E quel giorno è cominciata la sua “disintossicazione” dal brigatismo, come dice lui. Ma uscire dalle Br non era facile, era come tentare di scendere da cavallo d’una tigre: finché stai in groppa all’animale campi, se scendi ti sbrana.

    Non era solo paura per sé, temeva che se avesse tradito le Br uscendone, queste si sarebbero vendicate come avevano fatto col fratello di Patrizio Peci. E la vittima sarebbe stata la madre, assolutamente ignara delle imprese del figlio.

    Ormai, però, i brigatisti non si fidavano più di lui. Quando, dopo pochi mesi, rapirono Moro, a Etro affidarono soltanto compiti secondari, di fureria, non di prima linea.

    La madre riuscì a farlo assumere dall’editore dove lavorava lei e fu lì che lo conobbi. Ero redattore d’una rivista di divulgazione scientifica, Raimondo aveva compiti di archivista, traduttore, correttore di bozze. Ricordo che, in una pausa, chiacchierando contestò la mia posizione da “capitalista” – così definiva i liberali – e scherzando mi minacciò: “Non sai che cosa rischieresti se non mi fossi simpatico”. Allora la presi come una battuta, che capii soltanto nel 1994 quando fu arrestato.

    Un giorno scomparve dalla redazione. La madre ci raccontò che aveva vinto un concorso al ministero degli esteri e era dovuto andare in Mozambico. Poi era stato trasferito a Parigi. Calmatesi le acque, tornò a Roma e, dopo qualche anno, partì per la Thailandia da dove tornò, con moglie e figlio, per costituirsi, avendo saputo che lo ricercavano: i magistrati avevano scoperto che era lui il “Carletto” delle Br.

    Non accettò di dichiararsi pentito, vale a dire delatore, preferendo soltanto dissociarsi dalle Br. Non era soltanto paura di essere punito dagli ex compagni, ma non se la sentiva di denunciarli per avere sconti di pena.

    Ormai era un “disintossicato”. Disintossicato dalle Brigate rosse e disintossicato dal marxismo. E dopo dodici anni di carcere, è sempre lontanissimo da Br e da Marx.

    La senatrice Santanchè lo accusa di avere le mani lorde di sangue, ma Etro non ha mai ammazzato nessuno. La senatrice dice che dovrebbe andare a lavorare, non a sfruttare il reddito di cittadinanza, e domanda come ha fatto a campare fino ad ora, ce l’ha una casa, ce l’ha un reddito personale o qualche parente che lo aiuta? Perché non chiede ai suoi compagni di farlo lavorare in qualche azienda amica? No, la madre è morta, parenti non ne ha, oltre al figlio e alla nipotina, la casa dove vive è in affitto, lui è invalido. E agli ex compagni non chiede niente, anzi ci litiga, come ha fatto con la Balzerani, che ha rimproverato invitandola, come ha fatto lui, a riconoscere di essere stata una criminale.

    Tempo fa, mi chiese se io conoscessi qualcuno, qualche azienda che potesse dargli un lavoro, come traduttore, come archivista, o usciere, o uomo delle pulizie. Non ho potuto aiutarlo. La Santanchè lo ha invitato a farsi assumere dagli ex brigatisti per pulire i cessi, non sapendo che lui, pur reduce da una grave malattia che lo ha reso invalido, si era già proposto, ma non agli ex brigatisti, per farlo. Ma nessuno gli ha dato l’incarico.

    Io sono contrario alla legge che distribuisce il reddito di cittadinanza, ma riconosco che lo Stato ha tra i suoi compiti quello di aiutare chi da solo non ce la fa. Lo faceva pure Mussolini coi familiari dei politici spediti al confino.

    Ora Raimondo si diverte a insultare con frasi oscene su facebook chi gli capita a tiro. Non solo la Santanchè e la Meloni, due donne che stimo e che spero non infieriscano su un uomo a terra, ma anche tanti altri, come Berlusconi, Bergoglio, Renzi, la Cirinnà, Zingaretti. Sbaglia e spero che si decida a capirlo.

    Arrigo d’Armiento

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