Le rubriche di RomaDailyNews - OPS - Opinioni politicamente scorrette - di Arrigo d'Armiento

Togliatti, il mandolino e l’ombrello americano

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    Togliatti, il mandolino e l’ombrello americano –

    Gira periodicamente su Facebook una frase pronunciata da Togliatti durante la sua permanenza nell’Unione sovietica. Una brutta frase che riprendo qui:

    “È motivo di particolare orgoglio per me l’aver abbandonato la cittadinanza italiana per quella sovietica. Io non mi sento legato all’Italia come alla mia Patria, mi considero cittadino del mondo, di quel mondo che noi vogliamo vedere unito attorno a Mosca agli ordini del compagno Stalin. È motivo di particolare orgoglio aver rinunciato alla cittadinanza italiana perché come italiano mi sentivo un miserabile mandolinista e nulla più. Come cittadino sovietico sento di valere 10mila volte più del migliore cittadino italiano”.

    Una dichiarazione certamente brutta, ma che fa apparire Togliatti peggiore di quel che è stato. E’ vero, ha compiuto atti servili e ipocriti nei confronti di Stalin, ma bisogna riconoscere che, se avesse mostrato coraggio nei confronti del dittatore, avrebbe fatto la fine di tanti gerarchi comunisti nei campi di sterminio in Siberia o, più sbrigativamente, sarebbe stato eliminato con un colpo alla nuca dalla polizia politica dell’Urss, come era successo a duecento antifascisti italiani rifugiatisi a Mosca e che il Migliore non si azzardò a difendere.

    Salvò invece Gramsci, facendo in modo che venisse arrestato in Italia, quando voleva tornare a Mosca, dove aveva una moglie, agente sovietica. A Massimo Caprara che gli chiese che cosa sarebbe successo a Gramsci se fosse riuscito a tornare a Mosca, Togliatti rispose secco: Sarebbe morto.

    Sicuramente Togliatti non fu un uomo coraggioso, certamente non fu patriottico, fu responsabile di delitti, stragi come capo della missione militare sovietica nella guerra di Spagna, ma fu un uomo scaltro, capace di uscire vivo dall’esperienza nell’Unione sovietica.

    Un mondo nel quale riuscì a non tornare, quando Stalin gli chiese di riprendere i suoi incarichi a Mosca. Autorizzato dal despota, nel 1953, a tornare in Italia per sistemare le cose all’interno del Pci, salì sul treno temendo di fare la fine di tanti esponenti comunisti eliminati con una pallottola durante il viaggio e buttati giù dal convoglio in corsa.

    Non successe, ma arrivato il treno in territorio austriaco, Togliatti trovò il fiato per dire alla compagna Nilde Iotti: “Finalmente liberi!”. Anche lui, zitto zitto, preferiva essere protetto dall’ombrello americano, non da quello russo.

    Arrigo d’Armiento

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