Coronavirus: misurare le parole e stare calmi.

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Un dato è evidente: l’epidemia ha scatenato il ciarliero spirito “sotuttoioista” del popolo italiano. Buon ultimo, Luca Ricolfi (eminente sociologo ed editorialista de “Il Messaggero”) che oggi si desta dal sonno trimestrale in cui l’Italia tutta, a partire dalla classe dirigente, è sprofondata e, vestiti i panni proverbiali del Salvatore de “Il nome della Rosa”, scuote la testa al grido di “Penitenziagite!” e dipinge un futuro di fosse comuni cosparse di calce viva e monatti che passano sotto i portoni scuotendo macabri campanacci.

Capisco che la Peste manzoniana sia un archetipo culturale sempre presente nella memoria collettiva: se na fa menzione anche in un film di genere assai leggero (“L’armata Brancaleone”), ma, mi chiedo, suonare lugubri melodie, profetizzando sventura, ha senso? E’ utile?

Chi ha il potere di scrivere sui media dovrebbe sempre porsi questa domanda, perché tutti vogliono i famosi cinque minuti di celebrità, ma creare un clima di panico non è utile, ma dannoso: il panico può fare più danni della malattia stessa.

Come sempre, il mestiere del giornalista è cercare di comprendere i fatti e, ove possibile, i dati scientifici, almeno quelli conosciuti.

I fatti, provo a metterli in fila, sono questi:

  • siamo di fronte ad un virus nuovo per il quale il sistema immunitario umano non ha “esperienza”.
  • Questo patogeno si diffonde nel modo più efficiente possibile, con le famose microgocce di saliva.
  • Il tasso di infezione (contagiosità) delle persone esposte è molto elevato.
  • C’è evidenza di contagiosità anche per i pazienti asintomatici che sono, evidentemente, un numero consistente dei contagiati.
  • Nonostante la grande velocità con la quale il virus è stato esaminato da un punto di vista genetico, non ci sono certezze assolute su alcuni aspetti fondamentali per capire come curarlo (ad esempio, è chiaro che il virus utilizza come chiave di penetrazione cellulare l’enzima ACE2, un enzima simile all’ACE1 e legato al meccanismo di regolazione della pressione sanguigna, e probabilmente la furina, altro enzima catalizzatore del rilascio di proteine mature).
  • Sappiamo che in un numero di casi pari a circa il 5% dei contagiati, dopo diversi giorni di sintomi respiratori e febbre, si sviluppa una polmonite interstiziale (con radioimmagine tipica “a vetro smerigliato”) che può determinare insufficienza respiratoria ingravescente e potenzialmente mortale, ma esiste almeno una evidenza autoptica cinese della precocità del danno polmonare ben prima della manifestazione dell’insufficienza respiratoria (polmonite silente).
  • Non esiste al momento un vaccino.
  • Abbiamo notizia di test di riuso di farmaci antivirali utilizzati per infezioni diverse, ma in questo momento si tratta di terapie “empiriche”, ma di efficacia non provata.
  • Le metodiche di “certificazione” della condizione di “persona contagiata” sono cambiate dall’inizio dell’epidemia, determinando dei numeri ballerini.

Tutto questo determina una e una sola conseguenza: la possibilità che il numero dei pazienti gravi ecceda le capacità di cura del sistema sanitario e la gente cominci a morire per mancanza di cure appropriate.

Ora questo era noto già da metà gennaio: non si era nel campo delle possibilità, ma di elevate probabilità che ciò che sta accadendo, appunto, accadesse. Quindi, è evidente che c’è stato un grave ritardo nel prendere coscienza di questo fatto. Attrezzare posti letto di terapia subintensiva ed intensiva (di tipo respiratorio) richiede tempo, denari, logistica e macchinari che devono essere reperiti sul mercato, nonché, ovviamente, personale specializzato.

Secondo problema: le farragginosità del processo decisionale nel contesto istituzionale italiano. E’ chiaro che di fronte ad una emergenza di tipo ottocentesco, un sistema “alleggerito” e regionalizzato come il nostro è a rischio. Ci sono situazioni peggiori (si pensi al caso americano con la sanità privata e a pagamento) e tuttavia serve una norma d’emergenza che preveda un comitato di gestione con poteri forti, inclusa la possibilità di procedere a requisizioni di materiale sanitario e di impianti produttivi e, ovviamente, dei finanziamenti.

Terzo problema: la compliance dei cittadini. Sarà tanto maggiore, quanto maggiore sarà la percezione che chi è al comando agisca e sappia cosa sta facendo. E’ un problema importante, ma consegue alla risoluzione dei primi due problemi.

Alcune considerazioni: gridare “mille non più mille” non serve a niente, meglio non abusare del senso comune della popolazione che deve rimanere calma e seguire ordinatamente le direttive di sanità pubblica.

E’ una responsabilità che ricade su chi fa informazione: parliamo di meno, parliamo sulla base dei fatti.

Men che meno ci serve una crisi politica e sarebbe anche utile che tutti i politici tenessero a freno la lingua, finora la strategia comunicativa del Governo ha comunicato solo un gran senso di confusione e smarrimento, mentre le opposizioni hanno saputo fare di peggio con il solito opportunismo di tipo elettorale. Uno spettacolo schifoso, dato che ci sono di mezzo le vite delle persone e l’economia nazionale.

L’obiettivo ora è uno ed è molto semplice: contenere i contagi al massimo, prevenire la formazione di altri focolai, assicurare le cure a chi, purtroppo, dovrà farvi ricorso.

Al momento si è fatto qualcosa sul primo fronte, ma sugli altri due mi sembra di capire che siamo ancora agli inizi (a parte le zone più colpite dove la necessità ha spinto le strutture sanitarie e la politica locale a muoversi).

Servono coesione, calma e buon senso, ma l’epidemia può essere contenuta e fermata, sapendo però che la situazione durerà mesi e che il problema potrebbe ripresentarsi (e quindi il meccanismo di contenimento e gestione dovrà diventare una specialità permanente della nostra sanità pubblica).

CB

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