Homo Social

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    Mio padre quando mi dava la buona notte mi carezzava i capelli. Io prendevo la sua mano e poggiavo la guancia nel palmo, quella grande mano che sembrava contenere tutto un viso. Sentivo il suo profumo di acqua di colonia indugiare rassicurante sul cuscino. Guardavo quegli occhi caldi e le labbra piegate dal sorriso,un’ultima volta per quel giorno, poi abbassavo soddisfatta le palpebre con ancora in bocca il sapore vellutato del latte caldo. Lui sfilava la mano, mi baciava lieve la guancia. “Buona notte principessa” e il mio emisfero sinistro cominciava a galoppare verso altri mondi impossibili e l’immaginazione si faceva sogno.

    La vita sembrava possedere il ritmo delle consuetudini familiari che si ripetevano ogni giorno con una logica che non conosceva la monotonia. Il tavolino era il luogo d’incontro delle faccende familiari. Si parlava di lavoro, di futuro, dei morti ammazzati dalla mafia, del terrorismo, del diabete di nonna e del compasso da comprare a mio fratello.

    Quando le madri casalinghe uscivano di casa per andare a lavorare,sicure di affidare i propri figliagli innocui cartoni animati e ai quattro cantoni giocati nei cortili, lo sviluppo tecnologico pensò bene di dare il suo contributo, permettendo ai nonni di lavare, stirare, cucinare, aggiustare senza dover fare la guardia armata di mattarello e battipanni ai propri nipoti.

    Arrivava così, misterioso e impossibile, il Commodore per giocare al tennis alla televisione e il Nintendo.

    In quegli anni lo schermo ancora non ci divideva dal mondo, ma con il Game Boy la faccenda si face più seria e solitaria. Il gioco come intrattenimento, interazione e crescita ci catapultava in una bolla esclusiva ed escludente.

    Il duplex divenne scomodo perché raggiunto l’equilibrio neurale dovevamo dare sfogo ai nostri pensieri immaturi e per farlo dovevamo parlare, parlare e parlare.Allora ci proposero tariffe scontate per linee singole e poi, dulcis in fundo, i cellulari. Perché se accadeva qualcosa non si poteva aspettare che papà ritornasse dal lavoro, ovvio. E i figli, se gli si fermava la macchina o trovano un ingorgo o andavano a sbattere contro un albero,come avvisavano?

    Il cellulare ci stava risolvendo la vita e salvando la vita perché se eri in lista per un trapianto saresti stato rintracciabile nel giro di un minuto, o due se trovavano occupato, o tre se non avevi campo.

    Internet già gorgogliava sotto la trama di questo immanente sviluppo formando una ragnatela grande come il mondo per espandersi poi nell’universo. Basta spreco di carta e inchiostro, le lettere dovevano essere spedite via etere, le parole attraversare l’aria e arrivare in tempo reale ai destinatari.

    Era questa la parola d’ordine, simultaneità. Ed era a questo che la seconda rivoluzione industriale puntava: accorciare le distanze e rendere tutto più veloce.

    Le prime chat erano il segno che qualcuno stava lavorando dietro le quinte per rimodellare i rapporti umani. Sperimentatori e sperimentati del tutti conoscono tutti, e del tutti vogliono tutti in modo semplice, veloce, appagante, muovevamo i nostri primi passi in questa falsificazione affascinante della realtà.

    La tentazione di crearci personalità multiple ci prese la mano e una volta Antonio70 e una volta Germana69 mettevamo alla prova le nostre capacità di immedesimazione. Si contattava, si ingannava, si giocava di seduzione con il proprio immaginario. Si cercava l’amore, quello vero, quello che ti apprezzava per come eri, per poi scaricarti dopo il primo appuntamento perché eri brutto.

    Ma la vera rivoluzione doveva ancora arrivare e arrivò, inevitabile e ormai indispensabile come mangiare e bere: Facebook.

    I cambiamenti non sono mai repentini ma si evolvono con una lentezza tale da non darti il tempo di farti domande perché non te ne accorgi. Così ci siamo ritrovati con questo sistema che ha espanso il concetto di amicizia, di appariscenza, di onnipresenza grazie alle immagini e ai video.

    Tra le macerie di finti amori e il sesso virtuale, tra le notizie sui fatti del mondo e le bufale, ci connettiamo agli altri con l’individualismo e il narcisismo che l’immagine statica e in movimento ci consente.

    E non c’è nulla da fare, anche se non ci riconosciamo, anche se tentiamo di resistere, prima o poi ci finiamo dentro anche noi. Come una sirena suadente e seducente ci pieghiamo a lei e al suo demone.

    Tutti siamo immagine e poche parole, parole contate, spicce perché da leggere o ascoltare c’è tanto e non abbiamo tempo. Chi scrive troppo, chi comunica troppo è tagliato fuori. Zero Mi piace o forse uno, quello di un nostalgico.

    Dobbiamo fare tutto, dobbiamo essere tutto, perché con l’essere se stessi possiamo annoiare e i Mi piace diminuiscono e c’è il rischio di scomparire. Dobbiamo essere sempre informati per informare. Dobbiamo saper cantare, leggere, cucinare, dipingere, scrivere, recitare e fotografare, fotografare, fotografare.

    Io sono qui mi vedi? Un’anima inquieta piegata sulla propria schiena con gli occhi che non vedono più nemmeno l’altra metà della mela che hai sposato e con cui hai procreato esseri che diventeranno soggetti di foto, di visi, di mani, di piedi. Perché i figli come i gatti generano Mi piace, tanti Mi piace, noi lo sappiamo bene, e non ce li possiamo lasciar sfuggire.

    Antropologicamente modificati sentiamo estranea anche la nostra voce mentre commentiamo i post ad alta voce. Il gusto non sa più distinguere il sapore di un filetto di maiale dal seitan, e l’olfatto confonde l’odore della muffa della cantina dove ci si baciava di nascosto da ragazzi con quello della terra bagnata. I nostri polpastrelli non sono capaci di riconoscere ed esplorare ad occhi chiusi il carapace dei bacarozzi, e non ci facciamo più il finto tilaka con il pistillo dei papaveri perché il cortile è l’inferno. Lo ha detto la rete. Lì ce l’uomo nero arrivato su un barcone pronto a violentarti, seviziarti, derubarti.

    I gruppi ti risucchiano con un preavviso debole. Gli ultimi romantici, I sostenitori dell’aranciata amara, I lettori dei tarocchi,Gli amanti dell’uccello padulo, Morte a chi non vuole la pace.

    Abbiamo ali deboli e la necessità di identificarci, di riconoscerci, di conoscerci perché non esistono più i leader carismatici di una volta. Ora centinaia, migliaia, milioni, di leader da mille like si aggirano come coccodrilli affamati sui nostri schermi. La guarigione della nostra identità menomata è una chimera irraggiungibile e va bene, così ci vogliono, così ci hanno modellato.

    Anime solitarie tra pensieri ridondanti camuffati da sfondi improbabili che ci raggiungono ovunque. Ce ne lamentiamo maal bisogno ne facciamo uso anche noi. Condividi, io sono questo. E’ più facile, è più accettabile e accettato.

    Principi azzurri di una settimana. Tutti uguali. Plasmati dall’etere. Oggetti del desiderio effimero. Mi piace. Cuoricino. Entra in chat. Manda foto. Bella. Video in diretta. Consumiamo un orgasmo. Ci vediamo? Boh a che serve? Ma si. Appuntamento. Sesso esperto per lasciare un buon ricordo di sé. Niente parole. Niente illusioni. Ci si vede su Facebook. Mi piace.

    Donne diciottenni palestrate e tatuate, per uomini tatuati e palestrati, per incontri palestrati e tatuati. Ragazzine cinquantenni nostalgiche del proprio corpo, spianate dai filtri, dall’uomo seriale, da un vuoto che smette di gridare solo se lo riempi di calorie.

    Poi arriva quel giorno in cui ti guardi allo specchio con il tuo nuovo cervello reticolare, indugi lo sguardo sugli anni che passano, lui i filtri non li ha, e non ti piace. Non puoi fare Taglia per nascondere il pezzo di te che non ti piace, clarendon o moon per sparare il colore o mostrarti in black & white. No, lui non è al passo con la tecnologia. Vorresti spaccarlo, ti farebbe sentire meglio. Con un click su Amazon te lo consegnerebbero in poche ore a casa, ma saresti costretta ad aprire la porta a uno sconosciuto e mostrare le tue imperfezioni che non accetti più.

    Tu chi sei? Mi piace, cuoricino, ahah, wow, sigh, grrr. Chissà. Ripensi a nonna e al diabete, provi ad afferrare il suo odore e la sua pelle liscia, ma non ci riesci, il file è stato eliminato. E allora ti fai una foto con un’espressione stupida, la carichi, “Buongiorno mondo!”… 233 Mi piace, 53 cuoricini, 41 wow. Panta rei.

    Elena Martinelli

     

     

     

     

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