Scattata la prima foto di un buco nero
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E’ stata chiamata subito la foto del secolo, quella fatta ad un buco nero supermassiccio, con una massa pari a 6,5 miliardi e mezzo di volte quella del Sole, che si trova al centro della Galassia Messier 87, nella costellazione della Vergine.
Un risultato esaltante che ha radici lontane: un sogno nato venti anni fa che si è concretizzato nel 2014 con la nascita della collaborazione EHT (Event Horizon Telescope) e reso possibile dal lungo lavoro di analisi dei dati EHT, che ha coinvolto per due anni 200 ricercatori di tutto il mondo.
L’Event Horizon Telescope è un gruppo di otto radiotelescopi da terra che opera su scala planetaria, parte del progetto BlackHoleCam, che ha lo scopo di catturare le immagini di un buco nero. I buchi neri sono oggetti estremamente compatti, nei quali una quantità incredibile di massa è compressa all’interno di una piccola regione.
La presenza di questi oggetti influenza l’ambiente che li circonda in modo estremo, distorcendo lo spazio-tempo e surriscaldando qualsiasi materiale intorno.
In una serie di conferenze stampa coordinate in contemporanea in tutto il mondo, i ricercatori dell’EHT hanno annunciato il successo del progetto, svelando la prima prova visiva diretta, mai ottenuta, di un buco nero supermassiccio e della sua ombra.
Fare questa foto non è stato facile, per fare un paragone è stato come osservare una pallina da tennis sulla Luna. Quindi, per fotografare quel buco nero a 55 milioni di anni luce di distanza dalla Terra, occorreva avere un enorme telescopio in grado di raggiungere una risoluzione angolare di 25 micro secondi d’arco.
Grazie alla tecnica nota come Very-Long-Baseline- Interferometry è stato possibile raggiungere questo obiettivo, sincronizzando le strutture degli otto telescopi della collaborazione EHT, sparsi in tutto il mondo, e sfruttando la rotazione del nostro pianeta.
Utilizzando questa tecnologia si è potuto creare un telescopio virtuale, come un unico grande occhio rivolto verso il cielo, di dimensioni pari a quelle della Terra, in grado di raggiungere una risoluzione angolare tale da permettere di leggere una pagina di giornale a New York comodamente seduti in un caffè di Parigi.
“E’ la prima volta che fotografiamo un buco nero – commenta Ciriaco Goddi, segretario del consiglio scientifico del consorzio Eht e responsabile scientifico del progetto BlackHoleCam – ed è la prima volta che vediamo l’ambiente intorno all’orizzonte degli eventi: come se ci stessimo ffacciando sul buco nero a distanza di sicurezza”.
I telescopi che hanno contribuito a questo risultato sono stati ALMA, APEX, il telescopio IRAM da 30 metri, il telescopio James Clerk Maxwell, il telescopio Alfonso Serrano, il Submillimeter Array, il Submillimeter Telescope e il South Pole Telescope. L’enorme quantità di dati grezzi – misurabile in petabyte, ovvero milioni di gigabyte – ottenuta dai telescopi è stata poi ricombinata da supercomputer altamente specializzati ospitati dal Max Planck Institute for Radio Astronomy e dal MIT Haystack Observatory.
Il risultato finale è il frutto del lavoro di tre gruppi di ricercatori che hanno operato indipendentemente l’uno dall’altro con metodi di calibrazione dei dati diversi. Alla fine tutti e tre sono arrivati allo stesso risultato: la prima immagine di un buco nero.
“La calibrazione dei dati EHT è stata una grande sfida: i segnali astronomici sono deboli nella banda millimetrica, e distorti per effetto dell’atmosfera, che varia molto velocemente a queste frequenze”, sottolinea Elisabetta Liuzzo, Inaf, che insieme a Kazi Rygl, Inaf – IRA Bologna, ambedue ricercatrici del nodo italiano dell’ALMA Regional Centre, ha partecipato allo sviluppo di uno dei tre software usati per la calibrazione dei dati EHT.
Come hanno sottolineato gli scienziati questo è il primo successo di EHT, il prossimo sarà quello di “fotografare” Sagittarius A, il buco nero al centro della nostra Galassia. Bisognerà potenziare il potere risolutivo di EHT con l’inclusione di nuovi radiotelescopi, come l’Osservatorio IRAM NOEMA, del telescopio della Groenlandia e del Kitt Peak Telescope.
Secondo Ciriaco Goddi fotografare il buco nero al centro di M87 è stato più “facile” perche si tratta di un oggetto supermassiccio statico con tempi di scala di variazione di un paio di giorni, mentre Sagittarius A, che si trova a 25mila anni luce dalla Terra, è una sorgente estremamente variabile, cambia ogni 10-20 minuti.
Questo, insieme alla presenza del mezzo interstellare, rende più difficile la calibrazione dei dati al fine di ottenere un’immagine con un buon potere risolutivo.
Ma insieme alla foto di Sagittarius A, gli scienziati intendono confermare il risultato appena ottenuto e fare anche misure polarimetriche per misurare i campi magnetici e capire i processi fisici in gioco vicino all’orizzonte degli eventi di un buco nero.
Rita Lena
(la foto mostra al centro l’ombra del buco nero circondato da un anello luminoso di luce (fotoni) che si incurva per
effetto intensa forza di gravità intorno al buco nero e l’ orizzonte degli eventi, oltre il quale lo spazio, il tempo,
la materia che ne varcano il limite di non ritorno vengono risucchiati).