Storia di Italo Calvino, l’idealista che amava l’ironia

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    Italo Calvino fu, prima di tutto, un uomo integro e idealista. Da ragazzo, lo scrittore de “Le Cosmicomiche” fu partigiano, e non in una divisione qualsiasi, ma nella Garibaldi, una delle più esposte al pericolo. Partecipò alla Resistenza non con animo incosciente, ma con la piena consapevolezza dei rischi che correva. Conobbe la paura, ma la combatté proprio come fece contro i nazifascisti: in nome della libertà e della giustizia.

    Fu per il suo alto senso della verità e del dovere che nel 1956, in seguito all’invasione dell’Ungheria da parte dell’Unione Sovietica lasciò il P.C.I., disgustato dall’ipocrisia con la quale, attraverso le pagine de L’unità, il partito aveva cercato di nascondere e falsificare quei vergognosi accadimenti.

    Ma Calvino sapeva anche quando era giusto tacere. Come quando fu ritrovato, postumo, un diario del suo amato maestro Cesare Pavese, e lui si oppose alla sua pubblicazione perché nello scritto erano contenute frasi sul nazismo che potevano essere male interpretate, infangando la reputazione dell’amico che per primo aveva creduto in lui.

    Nella vita quotidiana guardava il mondo con ironia, e ancor più con autoironia, quella che lo portò a dichiarare di essere la pecora nera della famiglia in quanto unico letterato tra tanti scienziati.

    Come scrittore Calvino era brillante, e dotato di una fantasia senza limiti. Autore di una straordinaria e vastissima produzione letteraria, dopo le primissime opere neorealiste i suoi romanzi e racconti si aprirono all’immaginazione e al gioco delle libere, e talvolta grottesche, invenzioni. Tra tutte, si ricordano le avventure del barone di Rondò Cosimo Piovasco, il giovanissimo protagonista del romanzo “Il barone rampante”, che si arrampica sugli alberi e decide di non tornare più a terra, vivendo da lassù le avventure più strampalate, fino ad incontrare Napoleone in persona. Calvino scriveva pagine dense di raffinato e sottile umorismo, che strappava sorrisi, e talvolta grosse risate, ai lettori. Solo quando decideva di “fare sul serio” le sue parole si tingevano di malinconia. Del resto, talvolta la tristezza lo colse nella sua vita non lunga, ma ricca di avvenimenti. Ma su di essa lo scrittore riuscì sempre ad avere la meglio.

    Italo Calvino nacque il 15 ottobre 1923 a Santiago de Las Vegas, presso l’Avana. Malgrado la nascita a Cuba il grande scrittore si sentì sempre ligure, e ancor di più sanremese, in quanto i genitori erano italiani. Per di più, Calvino non conservava alcun ricordo particolare del periodo trascorso a l’Avana, dove abitò solamente durante la primissima infanzia.

    Il padre di Italo era Mario Calvino, agronomo originario di Sanremo, che dirigeva a l’Avana una stazione sperimentale di agricoltura e una scuola agraria; molto affermata professionalmente era anche la madre, la sassarese Eva Mameli, che dopo aver lavorato come assistente presso la cattedra di botanica nell’Università di Pavia ottenne la libera docenza nel 1915. Quando Italo aveva due anni i Calvino decisero di ritrasferirsi in Italia, a Sanremo, dove Mario venne nominato responsabile della Stazione sperimentale di floricoltura “Orazio Raimondo”. Nel 1927 nacque Floriano, il fratello di Italo, che in seguito divenne un geologo di fama internazionale. Calvino frequentò le elementari presso le scuole Valdesi; aderì all’“Opera Nazionale Balilla” quando l’obbligo di iscrizione venne esteso alle scuole private. Nel 1934 superò l’esame per il ginnasio-liceo “G. D. Cassini” dove, su richiesta dei genitori, fu esonerato dalle lezioni di religione. Negli anni della sua adolescenza Calvino si avvicinò alla lettura di riviste umoristiche come il “Bertoldo” di Giovanni Guareschi, “Marc’Aurelio” e “Settebello”, libere dalla retorica del regime. Inoltre, si divertì a disegnare vignette e fumetti, e si appassionò al cinema.

    Quando scoppiò la guerra, la sua posizione ideologica era ancora incerta, vicina a un confuso anarchismo. Tra i sedici ed i venti anni cominciò ad interessarsi alla scrittura, realizzando brevi racconti ed opere teatrali. Compose anche dei versi che si ispiravano alla poesia di Montale, il suo poeta preferito. Sempre in questo periodo fece amicizia con il compagno di liceo Eugenio Scalfari, che fece risvegliare in lui interessi più specificatamente politici. Nel 1941, conseguita la licenza liceale, si iscrisse alla Facoltà di Agraria dell’Università di Torino, senza però inserirsi nella dimensione metropolitana di tale città e nell’ambiente universitario. Nel 1943 si trasferì alla facoltà di Agraria e Forestale di Firenze, dove sostenne pochi esami, mentre le sue scelte politiche cominciavano a delinearsi in modo sempre più preciso. Dopo l’otto settembre 1943, per sfuggire alla leva della repubblica di Salò trascorse diversi mesi nascosto.

    Nel gennaio del 1944, all’indomani dell’uccisione per mano fascista del giovane medico e comandante partigiano Felice Cascione, Calvino aderì insieme al fratello Floriano alla seconda divisione d’assalto partigiana “Garibaldi”. Tale divisione, intitolata allo stesso Cascione, operava sulle Alpi Marittime. Da partigiano, Calvino partecipò per venti mesi ad alcuni dei più aspri scontri tra partigiani e nazifascisti mentre i genitori, sequestrati dai tedeschi e tenuti per lungo tempo in ostaggio, diedero prova di grande fermezza d’animo. Finita la guerra e liberati i genitori, Calvino si iscrisse alla Facoltà di lettere di Torino, accedendo direttamente al III anno grazie alla legislazione postbellica in favore dei partigiani ed ex combattenti.

    Nel 1946 cominciò a collaborare con la casa editrice Einaudi, vendendo libri a rate. Nello stesso anno, su esortazione di Cesare Pavese si dedicò alla stesura di un romanzo, che concluse negli ultimi giorni di dicembre; era il suo primo libro, “Il sentiero dei nidi di ragno”. Nell’opera, di stampo neorealistico, la Resistenza è guardata con gli occhi di un ragazzo. Presso l’Einaudi Calvino cominciò a occuparsi dell’ufficio stampa e di pubblicità, stringendo legami di amicizia e di fervido confronto con i grandi intellettuali dell’epoca come, oltre allo stesso Pavese, Vittorini, Natalia Ginzburg e Norberto Bobbio.

    Tra il 1946 ed il 1947 compose “Campo di mine”, vincitore di un concorso letterario indetto da l’Unità, ed una serie di racconti, ancora sulle esperienze nella Resistenza, che saranno poi messi insieme nella raccolta “Ultimo viene il corvo” (1949). Nel 1947 conseguì la laurea con una tesi su Joseph Conrad. L’anno successivo lasciò momentaneamente Einaudi per collaborare con l’Unità torinese e con il settimanale comunista “Rinascita”, ma nel 1949 tornò a lavorare per Einaudi, dove  venne assunto come redattore stabile dal 1° gennaio 1950. Nel mese di agosto dello stesso anno Cesare Pavese si uccise, e Calvino perdette un amico e un maestro; gli restò il profondo rammarico per non aver intuito il dramma dell’amico. L’anno successivo finì di scrivere un romanzo d’impianto realistico-sociale, “I giovani del Po”: fu la sua ultima opera di matrice neorealistica. Nei romanzi successivi  Calvino cambiò stile, abbracciando la fantasia e l’allegoria, come ne “Il visconte dimezzato”, scritto di getto nell’estate del  1951, il primo volume di quella che in seguito diventò la trilogia de “I nostri antenati”. Nello stesso anno, mentre lo scrittore era in viaggio in Unione Sovietica, morì il padre. Calvino lo ricordò qualche anno dopo nel racconto autobiografico “La strada di San Giovanni”.

    Dal 1955 al 1958 l’autore ebbe un’appassionata relazione con l’attrice Elsa De Giorgi, già sposata con Sandrino Contini Bonacossi. Italo amò intensamente la donna, che soprannominò “raggio di sole”, anagramma del suo nome e cognome. Dei due amanti resta un carteggio, che fu pubblicato postumo nel 2004. Quando la relazione con Elsa finì, Italo scrisse per lei “Il Barone Rampante”.

    Dopo quest’opera, la carriera di Calvino decollò in modo dirompente. Nel 1955 venne nominato dirigente dall’Einaudi: mantenne questa qualifica fino al giugno 1961, quando abbandonò l’incarico, ma rimase consulente editoriale. Sempre nel 1955 uscì “Il midollo del leone”, il primo di una serie di saggi volti a definire la propria idea di letteratura rispetto alle principali tendenze culturali del tempo. L’anno successivo  uscirono “Le fiabe italiane”, una raccolta di duecento storie del folclore popolare di tutte le regioni che Calvino catalogò, tradusse dal dialetto e mise insieme in un’unica opera. Il 1956 fu assai importante per un altro fatto significativo e cruciale nella vita dello scrittore.

    Dopo l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Unione Sovietica, Calvino denunciò la falsificazione dei fatti di Budapest e Poznan da parte dell’Unità. L’incapacità del partito di rinnovarsi provocò il distacco di Calvino dal Pci, dal quale si dimise il 1º agosto 1957. Da questo momento, lo scrittore si allontanò dall’impegno politico. Nel contempo, la sua creatività diventava sempre più feconda ed inarrestabile: non si contano le sue collaborazioni su riviste, i suoi scritti e racconti, le canzoni o libretti composte per opere musicali d’avanguardia come “Allez-hop” dell’amico Luciano Berio. Inoltre, in questo periodo scrisse “Il cavaliere inesistente”, terzo volume della trilogia de “I nostri antenati” e “Marcovaldo”, con il quale si rafforzò l’immagine di Calvino favolista. Alla fine degli anni Cinquanta lo scrittore soggiornò sei mesi negli Stati Uniti.

    Nel 1962, in occasione di un ciclo di incontri letterari, conobbe a Parigi la sua futura moglie, la traduttrice argentina di origine ebraica Esther Judith Singer, detta Chichita, che lavorava in organismi internazionali come l’UNESCO e l’IAEA. Calvino sposò Chichita il 19 febbraio 1964 all’Avana, in un ufficio notarile di Calle Obispo, con brindisi finale nel bar della piscina dell’Hotel Avana Libre. Dall’unione con Chichita, che aveva già un figlio da un precedente matrimonio, nacque una figlia, Giovanna. Sempre nel 1964 andarono in stampa le prime “Cosmicomiche; poco dopo, fu pubblicato il dittico “La nuvola di smog – La formica Argentina”. Il 12 febbraio del 1966 morì l’amico Elio Vittorini, con il quale era stato condirettore della rivista “Menabò”. All’autore siracusano Calvino dedicò il saggio “Vittorini: progettazione e letteratura”.

    Nel 1967 uscì “Ti con zero”: a partire da quest’opera, le storie di Calvino assunsero la forma di un gioco elaborato, al quale il lettore era incoraggiato a partecipare. Il romanzo vinse il Premio Viareggio 1968, che però Calvino rifiutò, ritenendo ormai tali manifestazioni letterarie una semplice espressione retorica. Nell’estate dello stesso anno si trasferì, assieme a tutta la famiglia, a Parigi, dove soggiornò in una villetta della Square de Châtillon. Nella ville lumiére lo scrittore seguì il dibattito culturale francese e divenne membro attivo del gruppo sperimentale di scrittori OuLiPo (abbreviazione di Ouvroir de Littérature Potentielle, officina di letteratura potenziale). Pur conducendo una vita abbastanza appartata, a Parigi conobbe scrittori come Georges Perec e Raymond Queneau, di cui tradusse “I fiori blu”. Dopo l’assassinio del suo amico Che Guevara Calvino scrisse un articolo a lui dedicato, che fu pubblicato in spagnolo nel 1968 sulla rivista cubana “Casa de las Americas”. Tra il 1969 e il 1973 pubblicò “Il castello dei destini incrociati”, Gli amori difficili” e i saggi “Osservare e descrivere” e “Problema da risolvere”; nel 1972 vinse il Premio Feltrinelli. Pubblicò poi “Le città invisibili”, uno scritto raffinato che propone l’idea che il significato non sia stabile, ma cambi continuamente, impedendo la possibilità della formazione di una verità unica e coerente.

    All’inizio degli anni Settanta venne ultimata la villa di Roccamare, presso Castiglione della Pescaia, dove Calvino trascorse tutte le estati successive. Nel 1974 iniziò a scrivere sul “Corriere della sera” racconti, resoconti di viaggio ed articoli sulla realtà politica e sociale del paese; collaborò anche a delle serie radiofoniche. Nel 1979 fu pubblicato il suo testo più spiccatamente metanarrativo, “Se una notte d’inverno un viaggiatore”. L’anno successivo ritornò con la famiglia a Roma, dove andò a vivere in piazza Campo Marzio, ad un passo dal Pantheon. Raccolse nel volume “Una pietra sopra” gli scritti di “Discorsi di letteratura e società”, la parte più significativa dei suoi interventi saggistici dal 1955 in poi.

    Nel 1981 ricevette la Legion d’onore. L’anno successivo venne rappresentata “La vera storia”, opera scritta insieme a Berio, alla Scala di Milano. Nel 1983, anno della pubblicazione di “Palomar”, la sua ultima opera, venne nominato per un mese “directeur d’ètudes” all’Ecole des Hautes Etudes. Nel 1984, in seguito alla crisi aziendale dell’Einaudi, decise di passare alla Garzanti, presso la quale apparvero “Collezione di sabbia” e “Cosmicomiche vecchie e nuove”.

    Nel 1985, avendo ricevuto l’incarico di tenere una serie di conferenze negli Stati Uniti (nella prestigiosa Harvard University), preparò le ormai celeberrime “Lezioni Americane”, che rimasero incompiute e furono pubblicate postume nel 1988. Inoltre, fece dei viaggi in Argentina e a Siviglia, dove partecipò ad un convegno sulla letteratura fantastica e tradusse “La canzone del polistirene” di Queneau. Il 6 settembre dello stesso anno venne colto da ictus a Castiglione della Pescaia. Fu ricoverato all’ospedale Santa Maria della Scala di Siena, ma non vi fu nulla da fare.

    Italo Calvino morì il 19 settembre 1985, all’età di 61 anni, per emorragia celebrale.

    Federica Foca’

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