Campi Flegrei, cresce (forse) il rischio di eruzione

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    Campi Flegrei, cresce (forse) il rischio di eruzione – 

    Il supervulcano dei Campi Flegrei, area vulcanica situata nel golfo di Pozzuoli ad ovest di Napoli, si starebbe  ricaricando con accumulo di magma e aumento della pressione dei gas.

    Si sta forse preparando ad una fase potenzialmente eruttiva? E’ quanto cerca di scoprire uno studio dell’ETH (Eidgenössische Technische Hochschule Zürich) il Politecnico Federale di  Zurigo, condotto da un gruppo internazionale di ricercatori, tra cui Gianfilippo De Astis geologo dell’INGV e Silvio Mollo dell’Università La Sapienza di Roma,  guidato  Francesca Forni, sulla base di nuove analisi dei prodotti di 23 eruzioni storiche avvenute in questo sito nell’arco di 60.000 anni.

    Il risultato ottenuto  ha importanti implicazioni per la valutazione del rischio vulcanico di questa vasta area, che include anche la città di Napoli, nella quale abitano 1,5 milioni di persone.

    Il vulcanismo dei Campi Flegrei ha una storia molto antica, sono state rinvenute sequenze di lave e prodotti piroclastici di 2 milioni di anni perforando il terreno tra villa Literno e Parete, mentre quelli  più antichi, visibili alla luce del sole, hanno un’età di circa 60mila anni, ma tutti hanno una storia strettamente legata all’evoluzione del magma.

    In questa area si ricordano due violente eruzioni che hanno portato alla formazione di due enormi  caldere, quella dell’Ignimbrite Campana (o del Tufo Grigio Campano) di 39mila anni fa, e quella  del Tufo Giallo Napoletano di 15mila anni fa. Ambedue hanno dato luogo in tempi diversi a due grandi caldere ora fuse in un’unica  complessa caldera.

    In quest’area, di almeno 100 chilometri,  sono da sempre presenti fenomeni come il bradisismo e sequenze sismiche, alcune delle quali registrate anche in queste ultime ore.

    Su questo supervulcano ci sono parte della città di Napoli, le isole vulcaniche di Procida ed Ischia e la parte nord-occidentale del Golfo di Napoli, ciononostante, secondo la ricerca,  pubblicata su Science Advance, manca un’analisi storica delle caratteristiche del magma.

    In questo studio Francesca Forni e colleghi hanno analizzato le  tracce degli elementi contenuti nelle rocce, minerali e campioni vetrificati di 23 eruzioni ai Campi Flegrei, inclusi quelli delle eruzioni del Tufo Grigio Campano e del Tufo Giallo, per scoprire se durante la storia eruttiva dell’area vulcanica si erano verificati cambiamenti della temperatura e del contenuto di acqua nel magma, con l’obiettivo di avere più informazioni sull’attuale comportamento di tutto il sistema la cui attività sembra essere improntata ad una certa  ciclicità.

    I ricercatori hanno combinato i parametri petrologici ottenuti dalle loro analisi con un modello termomeccanico per capire quali sono i meccanismi che  portano il sistema magmatico sotto i Campi Flegrei a transitare da eruzioni piccole, ma frequenti, ad eruzioni catastrofiche.

    Stando ai dati elaborati dal modello, il magma dell’eruzione di Monte Nuovo del 1538  avrebbe caratteristiche simili, nella composizione e  nel rapporto tra vetri e cristalli, a quelle del magma che ha alimentato le fasi iniziali delle due più catastrofiche eruzioni che hanno portato alla formazione delle caldere.

    Secondo gli scienziati l’eruzione di Monte nuovo ha cambiato le caratteristiche chimico-fisiche del  bacino magmatico in cui le sostanze volatili si sono separate dall’acqua nello strato più superficiale, favorendo un accumulo del magma ed un aumento della pressione dei gas.

    Secondo lo studio, l’attuale fase di lenta e progressiva  ricarica potrebbe preludere, in un’epoca non determinata, al verificarsi di una grande eruzione.

    Rita Lena

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