Data Scienze, motore di sviluppo. 1 milione di posti di lavoro nel triennio

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    UE: l’Italia primeggia negli open data: puntare a conquistare una posizione di dominio nel mercato dei dati –  servono 210 mila nuovi addetti nel triennio, un appello alla politica per un’azione comune.

    Da alcune analisi elaborate in sede europea in materia di open governement – ovvero la dottrina della trasparenza delle pubbliche amministrazioni attraverso la produzione e l’utilizzo di dati liberamente accessibili – emerge un fatto sorprendente: l’Italia è uno dei Paesi più attivi per maturità e diffusione dei progetti Open Data, e primeggia in termini di capillarità e qualità dei dataset prodotti e liberati.

    Un fatto oltretutto confortante se si considera che, in genere, le P.A. più sono aperte ai cittadini in termini di semplicità e snellezza burocratica, più sono socialmente ‘partecipate’, efficienti, trasparenti e, dunque, meno esposte alle corruttele.

    Attualmente il nostro Paese dispone di un immenso patrimonio di dati pubblici che se opportunamente analizzati ed elaborati, possono generare informazioni di alto valore per la società, contribuendo a disegnare modelli di analisi applicabili trasversalmente in tutti i settori del tessuto socioeconomico del Paese: dalla sanità all’ambiente, dalla programmazione economica alle politiche abitative, dall’agricoltura all’energia, dalla finanza pubblica al terzo settore.

    E’ l’universo della Data Economy fondata sull’intelligenza artificiale.  Ma se da un lato l’Italia, grazie alla lungimiranza e al costante impegno delle parti coinvolte nel processo di trasformazione digitale nazionale, si trova ad essere “trend setter” in Europa per gli open data, dall’altro continua a manifestare una endemica incapacità di “fare sistema” non investendo in modo armonico e coordinato in tutti gli aspetti necessari a una crescita reale.

    Un’incongruenza che deve essere superata senza indugi perché la concorrenza è forte e veloce ed è facile perdere i primati. In generale occorre consolidare le posizioni conquistate proiettando il nostro Paese verso posizioni di dominio (sì, deve essere nuovamente possibile immaginarlo!) in mercati strategici per la crescita economica continentale nel prossimo decennio.

    In concreto bisogna continuare a seminare il terreno culturale sul quale è germogliata finora la posizione italiana negli open data in Europa, con azioni volte a orientare l’interesse del comparto digitale sulle tematiche della Data Science;  a esempio, la divulgazione di metodologie, tecniche, buone pratiche, progetti e tecnologie, nonché la creazione di percorsi formativi, di certificazione.

    Una strategia che nell’immediato, come propone Livio Mariotti, uno dei  pionieri della Data Science in Italia e ceo di Expleo – società multinazionale specializzata nel trattamento dei Big Data –  non può non passare attraverso la pubblicazione di nuovi bandi di gara pubblici che contengano richieste specifiche – ove utile, possibile e necessario – di professionalità e servizi legati al mondo data science.

    Una misura quest’ultima che Mariotti pone come un vero e proprio appello alla Politica: “se raccolto – dice – consentirà a tutte le aziende operanti nel settore di creare network di imprese, università e centri di competenza, promuovendo lo sviluppo nel suo complesso e imprimendo una forte spinta alla crescita del numero di addetti indispensabile per consolidare le posizioni di mercato raggiunte e conquistarne di nuove acquisendo attività da tutta Europa”.

    Attualmente le stime sulle professionalità necessarie in Italia nell’ambito Data Science (fonti: Idc, Osservatorio Politecnico di Milano), si aggirano intorno ai 210 mila nuovi addetti nel triennio 2019/2021, mentre il sistema formativo e accademico nazionale riesce a generare solo qualche centinaio di neolaureati all’anno (sic!). Colmare tale grave carenza avrebbe anche ricadute positive sull’occupazione in generale.

    Infatti, stando agli studi sulla “Nuova Geografia del lavoro” del nostro Enrico Moretti, economista di fama, docente a Berkeley, per ogni nuovo occupato nei settori innovativi e ad alta specializzazione tecnologica, il tessuto socioeconomico locale esistente reagisce positivamente producendo 5 nuovi occupati.

    Ovvero, nel nostro caso, un totale virtuale di un milione di posti di lavoro. Comunque, se è vero come è vero che i dati prodotti e consumati ogni istante da ciascun individuo sono miniere utili alla creazione di profili elettronici per vendere prodotti, generare nuovi interessi e condizionare la percezione del contesto, investire massicciamente nello sviluppo della “cultura del dato” permetterà in ultima analisi, di difendere gli individui fornendo loro strumenti di conoscenza evoluti e raffinati e proteggendo per questa via, la nostra società.

    E’ evidente, dunque, la necessità di uno sforzo comune per fare sistema, che veda amministrazioni, imprese, Università, informazione e società civile, collaborare verso un unico obiettivo, ambizioso e forse irripetibile, ma oggi possibile; conquistare una posizione di dominio nel mercato dei dati in Europa nel prossimo decennio.

    Ma bisogna farlo senza indugi perché i tempi di decisione sono gli stessi del progresso tecnologico dove l’oggi è già il domani; dove il futuro è quasi fuso con il presente.

    Carlo Enrico Bazzani

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