I corsetti-icona in mostra in questi giorni a Parigi

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    I corsetti-icona di Dolce & Gabbana, quelli indossati da testimonial d’eccezione come Madonna e Lady Gaga, sono in mostra in questi giorni a Parigi nel Museo Les Arts Decoratifs. Ma il corsetto, bustier o ‘gabbia di Venerè, ha conosciuto un lunga storia, con alterne vicende, prima di tornare alla ribalta, promosso, da pezzo di lingerie a capo del vestiario esterno femminile, e ora addirittura a pezzo artistico, da museo. Il suo ritorno si deve alla reinterpretazione che ne hanno fatto alcune grandi griffe della moda contemporanea, come appunto Dolce & Gabbana e Jean Paul Gaultier. Ma anche al revival del burlesque, l’ironico spogliarello della Bella Epoque, rilanciato da Dita Von Teese, che oggi seduce a colpi di corsetti e guepiere. I primi busti femminili, risalenti al XVI secolo, erano in metallo, chiusi a chiave sulla schiena. Uno di quegli aggeggi infernali che mozzavano il fiato fino allo svenimento è conservato a Parigi al Musee de Cluny. Ma il busto arrivò in Italia dalla Spagna dopo le conquiste di Carlo V, che cambiarono il costume rinascimentale creando una figura femminile rigida. Al busto era associata una sottogonna, la verdugale, che dava alla sottana una forma conica. Ma i busti in ferro sparirono presto a causa della loro scomodità e furono sostituiti da stecche di balena o di vimini, infilate nel tessuto, oppure nel busto della veste. Durante il ‘700 il busto era scollato e stretto in vita, associato al panier, sorta di cesto ovale largo che costringeva le donne a passare dalle porte di traverso. Dopo l’illuminismo che affermava la necessità di un corpo più libero, e con la rivoluzione francese, il busto conobbe un trentennio di eclisse. Ma già attorno al 1830 ricomparve per durare fino a parte del ‘900. Si riteneva che il busto fosse necessario per sorreggere la colonna vertebrale della donna, per sua natura più fragile dell’uomo. La tortura cominciava in tenera età. Durante tutto il 1800 massima ambizione della donna fu infatti avere il vitino di vespa, ovvero una circonferenza di 40 centimetri. La difficoltà d’indossare simili corsetti fu superata con l’allacciatura alla pigra, a lacci incrociati. L’uso del busto poteva comportare anche tragedie, come quella riferita da un giornale parigino nel 1850: «giovane donna muore durante un ballo» a causa di un corsetto talmente stretto che le costole avevano perforato il fegato. Alla fine dell’800 il busto si allungò stringendo i fianchi. Questa conformazione dava alla figura di profilo una linea ad ‘S’ che spingeva il seno in alto e inarcava le spalle. Così il periodo Liberty consegnava la donna al ‘900. Questo micidiale accessorio costringeva tutti gli organi interni deformando il fisico, causando disturbi digestivi e svenimenti. Le dame eleganti dovevano avere un busto adatto ad ogni capo del guardaroba. Se si pensa che la moda ottocentesca pretendeva dalla donna un vestito per ogni occasione, si può immaginare quanti busti doveva comprendere un guardaroba. Attorno al 1910 Paul Poiret, grande innovatore della moda, decise di abolire il busto sostituendolo con la linea stile impero. Il busto smise di torturare il corpo femminile. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, Christian Dior lanciò il New look, linea con gonne larghe e vita sottile stretta con la guepiere. Il New Look ebbe vita breve: finì negli anni ’50 con le disinvolte mode americane per riapparire con Gaultier e Dolce & Gabbana. Rimane nella storia della moda il corsetto con coppe a punta che Gaultier disegnò per il tour di Madonna nel 1990.

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