In pochi decenni ecosistemi terrestri potrebbero diventare sorgenti di CO2
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In pochi decenni ecosistemi terrestri potrebbero diventare sorgenti di CO2 –
Secondo i dati forniti dalla più grande rete di monitoraggio delle emissione di CO2, nei prossimi 20-30 anni l’ aumento delle temperature potrebbe innescare una transizione degli ecosistemi terrestri, da naturali serbatoi a sorgenti di anidride carbonica.
Secondo uno studio pubblicato su Science Advance – dell’Università dell’Arizona,Flagstaff,AZ, del Woods Hole Research Center, Falmouth, MA e delle università neozelandesi University of Waikato, Hamilton, New Zealand e il Manaaki Whenua−Landcare Research, Palmerston North, New Zealand – almeno la metà degli ecosistemi del nostro pianeta, potrebbe raggiungere questo punto di non ritorno (tipping point), quando, intorno al 2100, le piante cominceranno a rilasciare nell’atmosfera carbonio più velocemente di quanto riescano ad assorbirne normalmente.
Il bioma, che copre la superficie terrestre e che, ogni giorno, riesce ad immagazzinare la maggior parte del carbonio, pensiamo alle foreste pluviali e boreali (Taiga), già a metà di questo secolo, potrebbe perdere più del 45% della sua capacità di sequestrare carbonio.
Gli studi fatti dicono che i cambiamenti climatici potrebbero agire su una serie di “tipping point”, soglie oltre le quali il sistema climatico subisce cambiamenti pericolosi e irreversibili. Per evitare questi “punti di non ritorno”, gli accordi di Parigi hanno stabilito di mantenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2° C rispetto ai livelli preindustriali.
Ma, mentre si sa che la temperatura influenza i tassi fotosintetici e la respirazione delle piante negli ecosistemi terrestri, che generalmente assorbono ogni anno circa il 30% delle emissioni di CO2 dovute alle attività umane, non è ancora noto quanto questi processi naturali verranno influenzati, su scala globale, dall’aumento delle temperature.
Per capire quando le temperature locali e globali potrebbero raggiungere la soglia critica, in cui la capacità di sequestro del carbonio terrestre da parte delle piante declina, Katharyn Duffy e colleghi sono ricorsi a FLUXNET (la rete globale di siti di torri micrometeorologiche che misurano gli scambi di anidride carbonica, vapore acqueo ed energia tra la biosfera e l’atmosfera), ed hanno analizzato i dati raccolti dal 1991 al 2015, con particolare attenzione a quelli relativi agli scambi di anidride carbonica tra gli ecosistemi terrestri e l’atmosfera.
Sulla base di queste informazioni, i ricercatori sono riusciti a determinare i cambiamenti dei tassi fotosintetici e della respirazione delle piante associati solo alle variazioni della temperatura rilevate localmente dalla rete Fluxnet, aggregando queste temperature al bioma e ai livelli globali.
I dati di flusso dicono che la fotosintesi globale raggiunge un picco a temperature di 18°C per le piante C3 (fotosintesi C3, dove viene prodotto un composto a tre atomi di carbonio), e a temperature di 28°C per le piante C4 (fotosintesi C4, dove viene prodotto un composto a quattro atomi di carbonio), e declina a temperature più alte; mentre il tasso di respirazione delle piante appare in aumento, in tutta la gamma delle temperature osservate, senza però raggiungere la soglia massima.
Sebbene meno del 10% degli ecosistemi terrestri vive, attualmente, in condizioni di temperature che superano le soglie di fotosintesi (e solo per una piccola frazione dell’anno), Duffy e colleghi avvertono che il fallimento degli accordi di Parigi, in particolare l’impossibilità di rimanere al di sotto dei 2°C, potrebbe alterare, drammaticamente, la capacità di sequestrare l’anidride carbonica da parte del bioma terrestre a livello globale.
In questo quadro si inserisce ad hoc uno studio internazionale, al quale hanno partecipato anche ricercatori dell’INGV e dell’Enea, pubblicato su Advances in Atmospheric Sciences che è un grido di allarme sul riscaldamento globale e i suoi effetti anche sulle temperature delle acque oceaniche.
“La temperatura media globale dell’oceano nel 2020 – viene spiegato nello studio – è il valore più caldo finora registrato. Ma non è tutto. L’analisi mostra anche che i cinque anni più caldi mai registrati si sono verificati tutti a partire dal 2015.
I dati del 2020 evidenziano che lo strato dell’oceano tra la superficie e i 2.000 metri di profondità, ha assorbito 20 Zettajoule di calore rispetto all’anno precedente, equivalenti al calore prodotto da 630 miliardi di asciugacapelli in funzione giorno e notte per un anno intero”.
Rita Lena