L’anello mancante dell’universo

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    Con masse di 9,7 e 20 miliardi quella del nostro Sole, due buchi neri supermassicci da poco scoperti al centro delle galassie NGC 3842 e NGC 4889 detengono il record fra quelli finora osservati. Questi giganti rappresenterebbero i primi resti noti dei più brillanti quasar presenti nell’universo un solo miliardo di anni dopo il Big Bang

    Due buchi neri di recente scoperta – i più massicci mai osservati, con masse di 10 miliardi di volte quella del Sole – potrebbero rappresentare un “anello mancante” nel nostro modello dell’evoluzione del cosmo: i primi resti noti dei più brillanti quasar presenti nell’universo un solo miliardo di anni dopo il Big Bang. I risultati, riportati in un articolo pubblicato sulla rivista “Nature” portano ipotizzare che esista una differenza nel modo in cui i buchi neri supermassicci raggiungono le loro dimensioni rispetto ai loro “cugini” più piccoli.

    Questi giganteschi ed estremi oggetti si formarono in una fase precoce della storia dell’universo, inghiottendo gas e stelle nel nucleo delle galassie in formazione. si ritiene siano presenti nel centro della maggior parte delle galassie massicce osservabili attualmente, ma non possono essere osservai direttamente, poiché neppure la luce può sfuggire al loro impressionante campo gravitazionale.

    Chung-Pei Ma, cosmologo dell’Università della California a Berkeley e colleghi sono arrivati a vedere i due “mostri” misurando le velocità delle stelle in rapido movimento in prossimità dei centri di grandi galassie. Poiché le velocità delle stelle sono correlate alla massa dei corpi intorno a cui orbitano, la tecnica offre un modo indiretto di “pesare” il buco nero supermassiccio che si trova al centro di altre galassie.

    Il gruppo ha ristretto le osservazioni a galassie sia di grandi dimensioni sia compresse in ammassi. In teoria, i buchi neri supermassicci potrebbero crescere fino a raggiungere dimensioni enormi consumando gas e stelle fornite da altre galassie presenti nelle vicinanze.

    “Questi ammassi di galassie possono essere considerati dei siti archeologici, in cui la storia

    antica ha lasciato tracce che ora noi possiamo scoprire e interpretare”, ha commentato Avi Loeb dell’Harvard University di Cambridge, nel Massachusetts.

    Utilizzando gli sturmenti montati sui telescopi Keck II e Gemini North sul monte Mauna Kea alle isole Hawaii, gli astronomi hanno trovato che una galassia dell’ammasso denominata NGC 3842 ospita un buco nero con una massa equivalente a 9,7 miliardi di masse solari. Un’altra galassia, NGC 4889, che si trova al centro di un altro ammasso, ha un buco nero con una massa stimata di circa 20 miliardi di masse solari, sebbene possa superare i 37 miliardi. (Il precedente “record” un buco nero al centro della galassia vicina M87, ha una massa di 6,7 miliardi di masse solari).

    Sia NGC 3842 sia NGC 4889 sono distanti da noi poco più di 300 milioni di anni luce, sono cioè relativamente vicine in termini astronomici. Nonostante ciò, puntare al moto di queste stelle al centro di ciascuna galassia richiede osservazioni ad alta risoluzione che non erano possobili sono pochi anni fa, ha aggiunto Ma.

    Karl Gebhardt, ricercatore dell’ Università del Texas a Austin nota come le masse dei buchi neri appena scoperti non seguono la ben nota relazione tra la massa del bulge (rigonfiamento centrale) di stelle in una galassia e la massa del buco nero centrale. Tale relazione sembra così valere per buchi neri di massa fino a 6 miliardi di masse solari.

    I buchi neri appena scoperti, infine, sono più grandi di quanto suggerirebbe tale relazione, il che potrebbe indicare che questi giganti del cosmo si sono evoluti in modo differente, forse guadagnando ciò che avevano perso quando le galassie che li ospitavano si sono fuse con altre. Ciò a sua volta potrebbe fornire nuovi indizi su come si formano le galassie e i buchi neri.

    Gli osservatori avevano precedentemente teorizzato l’esistenza di questi buchi neri massicci in galassie distanti, osservate come apparivano a 1,2-3,3 miliardi di anni dopo il Big Bang. Queste galassie contenevano brillanti quasar, sorgenti di luce intensa emessa da massa superriscaldata in caduta in un buco nero supermassiccio. I quasar si spensero molto tempo fa, ma i buchi neri giganti rimangono, avendo perso solo una parte trascurabile della loro massa durante l’evoluzione di miliardi di anni per diventare parte dell’universo attuale.

    Con questa nuova corrispondenza tra buchi neri supermassicci nell’universo primordiale e in quello attuale “possiamo comprendere meglio in che modo i quasar influenzarono l’evoluzione delle galassie che li ospitavano e in che modo queste ultime nutrirono la crescita di buchi neri di quasar”. (fonte Lescienze.it)

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