Le due anime della Palestina

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    Dopo le dichiarazioni di Trump dei giorni scorsi che hanno fatto tremare il mondo islamico e che riguardano il riconoscimentodi Gerusalemme come capitale di Israele e l’annunciodella volontà di trasferire l’ambasciata americana da Tel Aviv alla città santa, oggi si sono riuniti in un vertice straordinario dell’Oci (l’Organizzazione della cooperazione islamica) 57 paesi di fede musulmana convocati dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

    La posizione di Trump è inequivocabile, il pieno sostegno è per Benjamin Netanyahu. Per il presidente americano si tratterebbe solo di rendere esplicita una situazione, che nei fatti è già chiara spacciandola come necessaria per il buon esito del processo di pace.

    La risposta a Trump della seduta congiunta è il riconoscimento di Gerusalemme Est come capitale della Palestina e l’invito al mondo intero a rigettare le decisioni di Trump.La prospettiva è quella di assisterealla nascita di uno Stato palestinese dentro lo Stato di Israeleoperazione che il governo israeliano non ha nessun interesse a favorire perché significherebbe condividere una parte della capitale con uno Stato palestinese sovrano e indipendente.

    Di fatto l’unica certezza è che la pace israelo-palestinese si fa sempre più remota almeno con una delle due facce dellaPalestina rappresentata dal movimento estremista di Hamas che dal 2007, dopo aver scacciato l’altra faccia più moderata rappresentata dall’Autorità nazionale palestinese (Anp) guidata da Abu Mazen e foraggiata economicamente dagli Stati Uniti, ha assunto il controllo di Gaza,e cinta d’assedio dall’esercito israeliano.

    Il punto da chiarire è che Israele non è in guerra con l’Autorità nazionale palestinesema con Hamas, e fino a quando il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, non inviterà al tavolo delle trattative quella parte della Palestina con cui è in guerrail processo di pace, non avrà mai realmente inizio.

    A settembre Hamas e al-Fatah avevano raggiunto un accordo, grazie anche alla mediazione dell’Egitto, che rappresentava, secondo quanto dichiarato da Abu Mazen, la fine della divisione. Il patto prevedeva il dispiegamento di tremila uomini della sicurezza dell’Anp nella striscia di Gaza e contemporaneamente la fine delle sanzioni contro Hamas approvate la scorsa primavera. Il premier israeliano, la settimana precedente al patto, aveva affermato che non avrebbe accettato una riconciliazione a spese dell’esistenza di Israele e che la questione del disarmo di Hamas doveva essere centrale.

    Elena Martinelli

    Benjamin Netanyahu

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