Marijuana: il fumo saltuario danneggia meno delle sigarette

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    La funzionalità polmonare non è compromessa da un uso occasionale o moderato di marijuana, anche a lungo termine. A stabilirlo è stato uno studio condotto da ricercatori dell’Università dell’Alabama a Birmingham, che ne riferiscono in un articolo pubblicato sul “Journal of American Medical Association” (JAMA).

    “Con l’uso della marijuana in aumento e un gran numero di persone che sono state e continuano ad esservi esposte, sapere se provoca danni permanenti alla funzione polmonare è importante per la salute pubblica e l’uso medico della marijuana”, dice l’autore senior dello studio, Stefan Kertesz, ricordando che dal 1996 a oggi, 16 stati e Washington, DC, hanno legalizzato l’uso medico della marijuana per contribuire a una migliore gestione dei sintomi di molte malattie, comprese cancro, AIDS e glaucoma.

    “Si sa da tempo” osserva Kertesz, “che il fumo di marijuana contiene molte sostanze chimiche irritanti presenti anche nel fumo di tabacco e può causare irritazione ai polmoni, respiro sibilante e tosse subito dopo l’uso, tuttavia, nella ricerca sugli effetti a lungo termine sulla funzione polmonare vi sono incongruenze”.

    Per condurre lo studio i ricercatori hanno fatto riferimento al data base del programma CARDIA (Development Coronary Artery Risk Study in Young Adults), un progetto di ricerca che ha coinvolto oltre 5000 cittadini di Birmingham, Chicago, Minneapolis e Oakland, reclutati quando avevano un’età fra i 18 e i 30 anni e poi seguiti dal 1985 fino al 2006.

    I ricercatori hanno potuto così confrontare la funzionalità polmonare dei fumatori di marijuana e di tabacco durante un periodo di 20 anni, scoprendo che, mentre il fumo di tabacco risultava comportare gli stessi effetti mostrati in tutti gli studi precedenti – l’aumento dell’esposizione cumulativa al fumo comporta una progressiva diminuzione sia del picco di flusso espiratorio (PEF), ossia la massima “forza” con cui una persona riesce a espirare l’aria dopo una profonda inspirazione, sia della capacità polmonare, per il fumo di marijuana era vero il contrario.

    “Ai livelli di esposizione alla marijuana comunemente osservati negli americani, l’uso occasionale è stato associato a un aumento del PEF e della capacità polmonare”, spiega Kertesz. “Gli incrementi osservati non sono grandi, ma statisticamente significativi. Fino a livelli di utilizzo moderati, intorno a una ‘canna’ al giorno per sette anni, non ci sono prove di una diminuzione del flusso d’aria o del volume polmonare”.

    L’autore avverte però che l’aumento registrato è molto modesto, e non comporta un miglioramento della ventilazione che possa fornire un beneficio anche puramente soggettivo. Inoltre, la situazione cambia per le persone che raggiungono elevati livelli di esposizione per tutta la vita: “A quel punto, i dati suggeriscono che ci sia un calo nel flusso d’aria polmonare. E ci possono essere anche altri effetti dannosi che non si manifestano fino a livelli di esposizione molto elevati; ma in questo studio non avevamo abbastanza fumatori ‘pesanti’ di marijuana per poterlo stabilire”.

    “Questo non è il primo studio a mostrare che la marijuana ha un rapporto complesso con la funzione polmonare. Tuttavia, la dimensione dello studio e la lunga durata del follow-up ci aiutano a tracciare un quadro più chiaro dei modi in cui questo rapporto cambia nel tempo”, osserva Kertesz, che sottolinea anche come lo studio non abbia esaminato altri modi di fumare marijuana che possono incidere sulla salute di una persona, ricordando che “nel nostro studio vediamo accenni di danni alla funzionalità polmonare con un uso pesante, e altri studi hanno dimostrato che l’uso di marijuana aumenta la probabilità di un attacco cardiaco, secondo l’American Heart Association, e altera la capacità del sistema immunitario di combattere le malattie, secondo il National Institute on Drug Abuse”.

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