#THELAST20, UN ALTRO MONDO POSSIBILE

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    Nasce l’osservatorio permanente “L20 International Outlook”

    “The Last 20”, il comitato che ha riunito i venti Paesi più ‘impoveriti’ del nostro pianeta, in base alle statistiche internazionali sui principali indicatori socio-economici e ambientali, dopo l’inaugurazione a Reggio Calabria, si è spostato a Roma, alla facoltà di Lettere dell’Università di Tor Vergata.

     

    Tre giorni di incontri (10-12 settembre), coordinati dal responsabile della tappa romana Domenico Rizzuti, in cui si sono alternati oltre quaranta relatori tra studiosi, attivisti, politici e giornalisti. Il dibattito ha riguardato i temi della povertà, dell’insicurezza alimentare, dei cambiamenti climatici, dell’agroecologia e della condizione femminile.

     

    Nel pensiero dei suoi ideatori l’obiettivo del progetto è stato fin dal principio quello di guardare il mondo dalla prospettiva di chi soffre della iniqua distribuzione delle risorse, dell’impatto del mutamento climatico, delle guerre intestine, spesso alimentate dai G20, la prospettiva, quindi, di chi vive sulla propria pelle la povertà, di misurare la temperatura sociale, economica e ambientale, e immaginare una strada per uscire dalla crisi globale.

    Come ha dichiarato Tonino Perna, professore di economia, attivista e vice-sindaco di Reggio Calabria, «Solo se guardi il mondo dalla prospettiva dei Paesi più fragili e dei loro cittadini capisci veramente quali dinamiche lo muovano».

    Riccardo Petrella, professore emerito all’Università di Lovanio in Belgio, ha aperto il dibattito tratteggiando le cause della povertà nei Paesi fragili. “Se c’è fame nel mondo, se ci sono popoli che non hanno accesso all’acqua, è anche una questione di consapevolezza: in pochi sanno, ad esempio, che l’acqua è entrata in borsa. Siamo infatti dominati, anche dal punto di vista dell’informazione, da gruppi sociali il cui interesse è finanziarizzare e privatizzare non solo l’economia ma la vita stessa”.

     

    “I Paesi ‘poveri’ non sono nati così, ma si sono impoveriti, mentre i Paesi ricchi si sono arricchiti a danno di altri, grazie a schiavismo, colonialismo, furto di terre e acqua, sfruttamento economico e di risorse”, ha ricordato Cinzia Scaffidi, giornalista e docente all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Lilia Ghanem, libanese, direttrice di

     

    L’Ecologist per l’area del Medio Oriente, ha sottolineato che due persone “affamate” su tre vivono in un Paese in guerra, e che la fame stessa è diventata una strategia del conflitto, un modo per colpire le popolazioni.

    Secondo i dati del SOFI 2021 (The State of Food Security and Nutrition in the World) l’insicurezza alimentare colpisce metà della popolazione, un terzo della popolazione nell’America Latina e un quinto di quella in Asia. In totale 2,4 miliardi di persone (quasi un terzo della popolazione mondiale) non ha accesso a un’alimentazione adeguata e questo è una delle cause primarie di morte prematura al mondo.

    L’analisi delle concause dell’impoverimento dei Paesi Last 20, oltre ai conflitti etnici, alle guerre e allo sfruttamento scellerato delle risorse naturali, e la ricerca di proposte concrete sono stati i temi centrali del convegno.

     

    Gli elementi che concorrono a inasprire l’insicurezza alimentare di questi paesi, insieme alla commercializzazione di sementi cosiddette Terminator, cioè sementi che producono piante con semi sterili, e alle monocolture, sono stati rintracciati nei sistemi agricoli a produzioni familiari. Tali sistemi, pur contribuendo a sfamare il 75% degli abitanti del Pianeta, spesso non riescono a gestire in maniera appropriata le fasi della catena produttiva, in particolare di raccolta e stoccaggio, generando un rilevante spreco di risorse alimentari. L’ultimo rapporto della FAO sul Food Price Index indica, infatti, che in media il 14% del cibo che viene prodotto in agricoltura non raggiunge la fase di distribuzione, e questo riguarda in modo rilevante i paesi africani per la produzione di frutta, verdura e culture oleose.

     

    Se osserviamo i dati al livello globale, secondo l’ultimo rapporto dell’UNEP sul Food Waste (lo spreco alimentare nella fase di consumo) emerge un aspetto spesso sottovalutato: lo spreco alimentare è un problema che riguarda tutte le classi economico-sociali di tutti i Paesi, senza differenze significative. I principali dati raccolti dall’UNEP stimano che nel 2019 sono state generate circa 931 milioni di tonnellate di spreco alimentare, dei quali il 61% avviene tra le mura domestiche, il 26% lungo la filiera e il 13% nelle rivendite. Ogni anno, in media, vengono buttati 121 chili di cibo pro capite. Comparando la quantità di cibo che non viene consumato con quanto ne viene prodotto, le Nazioni Unite suggeriscono che circa il 17% di quanto viene coltivato, finalizzato e venduto viene buttato. In termini produttivi, implica che circa 1,4 milioni di ettari di terreno coltivabile sono, di fatto, impiegati per coltivare alimenti che non verranno mai mangiati. Questo aspetto, evidenzia ancora il Food Waste Index Report, permette di comprendere perché lo spreco alimentare intacchi anche la tutela della biodiversità e abbia un forte impatto sul cambiamento climatico, accelerando fattori e processi chiave.

     

    Giorgio Menchini, Presidente COSPE e Portavoce di Azione Terræ, ha illustrato i benefici della transizione agroecologica, un approccio sistemico integrato che mette insieme criteri ecologici e criteri sociali, che consentirebbe ai Paesi Last 20, e non solo, di affrontare sia i problemi legati all’economia e al diritto al cibo, sia ai cambiamenti climatici, alla disuguaglianza sociale, ai diritti delle donne e al lavoro per i giovani.

     

    Sul tema dell’agroecologia sono state portate all’attenzione del pubblico due esperienze significative: quella di Ibrahim Coulibaly, Presidente del Coordinamento Nazionale delle Organizzazioni contadine in Mali e Presidente di ROPPA (Rete delle Organizzazioni Agricole e dei Produttori in Africa Occidentale), che ha riunito organizzazioni di piccoli agricoltori in 13 Paesi con l’obiettivo di difendere e promuovere le aziende agricole familiari, principale sistema di produzione dell’Africa occidentale; e quella di Maurizio Gritta, Presidente di Iris Bio, una delle più importanti cooperative di coltivazione biologica in Italia e un modello economico studiato da diversi paesi nel mondo.

    L’ultima giornata è stata dedicata alla condizione femminile e ai diritti delle donne nella società e nel lavoro, con un approfondimento sull’Afghanistan. Il tavolo, coordinato da Lorena Di Lorenzo dell’associazione “Binario 15” e Antonella Garofalo del Coordinamento italiano di sostegno alle donne afghane (CISDA), ha raccolto le testimonianze di donne impegnate sui temi della giustizia economica e sociale. “Le donne afghane” ha detto in particolare Huma Saeed, criminologa e accademica afghana dell’Università di Lovanio in Belgio, da anni attivista per i diritti umani, “non vogliono più tornare indietro, ma saranno costrette ad affrontare una realtà durissima. Tutti i segnali dicono che l’Afghanistan diventerà un’altra Arabia Saudita”. Huma Saeed ha ricordato che le donne “quanto e forse più degli uomini sono vittime dei conflitti, e oltretutto non vengono mai consultate nel corso del processo di pace”. Ha, inoltre, rivendicato il ruolo di chi manifesta con coraggio e determinazione in patria per i propri diritti e il rispetto della Costituzione afghana, dei profughi afgani all’estero, e, soprattutto, di giornalisti e intellettuali che sono “occhi e orecchie” del mondo, l’unico baluardo della controinformazione in un Paese dove sono scomparsi media liberi.

     

    Su proposta di Ugo Melchionda, Coordinatore di “Grei250” e corrispondente italiano OCSE per l’International Migration Outlook, si costituirà un osservatorio permanente, il “L20 International Outlook”, con il compito di elaborare un report annuale (Report L20), in grado di monitorare nel tempo le crisi in corso e i possibili cambiamenti.

    “È necessario un mutamento di sistema” ribadisce in conclusione il coordinatore del comitato Tonino Perna, “che faccia leva sulla visione, la cultura, l’intelligenza, le esperienze, le competenze misconosciute delle popolazioni dei Paesi cosiddetti ultimi”.

     

    Prossime tappe: Abruzzo e Molise, dal 17 al 20 settembre, a Milano dal 24 al 26 settembre e a Santa Maria di Leuca all’inizio di ottobre.

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