L’addio ad Emanuele Morganti

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    “Mi baciò e disse: Mi sa che dobbiamo scappare. Non l’ho più visto”. Le parole della fidanzata riecheggiano in un triste giorno

    Ultimo saluto a Emanuele Morganti, il ragazzo di 20 anni che venerdì scorso è stato massacrato a morte dal branco fuori da una discoteca. Ieri, nella Chiesa di Tecchiena, una frazione del piccolo centro nel Frosinate, si è tenuto il funerale. Centinaia i palloncini e i fiori. Una maglietta di colore bianco con un cuore al centro e la foto del ragazzo. Come bianco è il colore della sua bara che simboleggia la purezza.

    Papà Giuseppe, mamma Lucia, la sorella Melissa in testa alla bara e il fratello Francesco. Parenti, amici, persone che non conoscono Emanuele. Sono tutti lì, stretti intorno ai genitori del giovane. Gli amici che quel giorno erano con lui, davanti a quella discoteca non comprendono ancora il perché. E’ successo tutto così in fretta. Nella notte tra venerdì e sabato Emanuele, con la fidanzata ed un gruppo di amici entrano in un locale. Chiedono un drink. Nell’attesa si avvicina un ragazzo, visibilmente ubriaco, che comincia a infastidire la ragazza.

    E’ un attimo. Il ragazzo spintona Emanuele, ne nasce una rissa. I buttafuori intervengono. Strattonano Morganti, la maglietta è palesemente strappata nella parte davanti. Poi, viene portato fuori dal locale. Lì, continua il pestaggio del branco.  Dieci, dodici, quindici. Non si riescono a contare. Mario Castagnacci e Paolo Palmisani, i due fratellastri coetanei, al momento gli unici identificati, si trovano in mezzo a quel gruppo così violento. “Vado a prendere la pistola”, dice uno dei due. Invece torna con una spranga di ferro ed infierisce sul ragazzo ormai stanco di ricevere calci e pugni. Emanuele, non reagisce più, respira a fatica. Il sangue gli esce dalla bocca. La corsa all’Umberto I di Roma. I medici dell’ospedale capitolino rilevano la rottura delle vertebre cervicali e varie fratture craniche provocate con un paletto. Il ragazzo, tenuto in vita artificialmente, muore dopo due giorni di agonia.

    FUNERALE EMANUELE MORGANTI

    FUNERALE EMANUELE MORGANTI

    La madre, nella Chiesa gremita di gente sussurra: “Emanuele era un angioletto, ma che dico, era un caciarone pieno di vita che ci faceva sentire vivi”. Mentre le parole della sorella risuonano in un silenzio profondo: “Adesso venga fatta giustizia e chi ti ha portato via abbia un nome”. Il vescovo di Anagni-Alatri, mons. Lorenzo Loppa, ha richiamato i presenti a non cedere alla vendetta: “Noi dobbiamo passare dal sentimento di vendetta a uno di misericordia e di responsabilità. C’è un solo modo per far finire la violenza: è non rispondere con la violenza”. Alla fine, una voce fuori dalla chiesa urla: Chi era presente parli, dica quello che sa.

    Silvia Roberto

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