Parla vicebrigadiere Tedesco: chiedo scusa a famiglia Cucchi, ecco chi picchiò Stefano

Roma – “Vorrei chiedere scusa alla famiglia Cucchi e agli agenti della polizia penitenziaria imputati nel primo processo. Per me questi anni sono stati un muro insormontabile”. Cosi’ il vicebrigadiere del Carabinieri, Francesco Tedesco (attualmente sospeso dal servizio), supertestimone del processo bis sulla morte di Stefano Cucchi (dove e’ imputato per omicidio preterintenzionale, falso e calunnia) in apertura della sua deposizione davanti alla I corte d’assiste del Tribunale di Roma.

ECCO CHI PICCHIO’ STEFANO E IN CHE MODO

Stefano Cucchi subi’ un aggressione dai due carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, nella caserma della compagnia Casilina la notte del suo arresto a Roma (il 15 ottobre del 2009), dopo essersi rifiutato di sottoporsi al fotosegnalamento. Il vicebrigadiere Francesco Tedesco ha ricostruito i fatti durante la sua deposizione nel processo bis, dove e’ imputato per omicidio preterintenzionale, falso e calunnia, davanti alla I Corte d’Assise.

“Mentre uscivano dalla sala, Di Bernardo si volto’ e colpi’ Cucchi con uno schiaffo violento in pieno volto. Poi lo spinse e D’Alessandro diede a Cucchi un forte calcio con la punta del piede all’altezza dell’ano. Nel frattempo io mi ero alzato e avevo detto: ‘Basta, finitela, che cazzo fate, non vi permettete’. Ma Di Bernardo prosegui’ nell’azione spingendo con violenza Cucchi e provocandone una caduta in terra sul bacino, poi sbatte’ anche la testa”.

“Io sentii il rumore della testa, dopo aveva sbattuto anche la schiena .prosegue il vicebrigadiere-. Mentre Cucchi era in terra D’Alessandro gli diede un calcio in faccia, stava per dargliene un altro ma io lo spinsi via e gli dissi ‘State lontani, non vi avvicinate e non permettetevi piu”. Aiutai Stefano a rialzarsi, gli dissi ‘come stai?’ lui mi rispose ‘Sono un pugile sto bene’, ma lo vedevo intontito”.

Subito dopo avere assistito all’aggressione di Cucchi, Tedesco ha testimoniato di avere chiamato l’allora capo della stazione Appia dei Cc, Roberto Mandolini (imputato per calunnia), e “gli dissi cosa era successo. Mandolini mi chiese ‘Come sta?’. Io replicai: ‘Dice che sta bene ma e’ successo questo, questo e questo’. Cucchi- ha proseguito Tedesco- senti’ quella telefonata perche’ lo avevo sotto braccio. Quindi salii dietro sul Defender con lui, mentre di Bernardo e D’Alessandro stavano davanti. Cucchi non disse una parola, teneva la testa abbassata, io ero turbato e lui era sotto shock piu’ di me”.

Invece Di Bernardo e D’Alessandro (imputati per omicidio preterintenzionale) “erano tranquilli, non erano spaventati piu’ di tanto. Non erano preoccupati della telefonata che avevo fatto a Mandolini e mi dicevano: ‘Non ti preoccupare parliamo noi con Mandolini’. Arrivati alla stazione Appia, Mandolini chiamo’ D’Alessandro e Di Bernardo, io stavo con Stefano Cucchi, che era ancora stordito anche se cominciava a parlare un pochino con me. Mandolini poi chiamo’ me e Cucchi, disse: ‘Fateli venire che bisogna fermare il verbale d’arresto'”-spiega Tedesco-.

“Presi il verbale e mi disse: ‘Firmalo che tra un paio d’ore devi andare in Tribunale’. Io lo firmai senza nemmeno leggere. Con me Mandolini faceva sentire il grado, se dovevo entrare in ufficio io dovevo chiedere permesso, se lo facevano D’Alessandro e Di Bernardo no. Cucchi non voleva firmare il verbale di perquisizione ne’ il verbale d’arresto”.

NON ERA FACILE DENUNCIARE I COLLEGHI

“L’appuntato Nicolardi mi consiglio’ di fare una relazione di servizio e di metterla agli atti. La feci col mio computer nella mia camera, perche’ non volevo essere visto. Non era facile denunciare i miei colleghi”. Cosi’, durante il suo interrogatorio nel corso del processo bis sulla morte di Stefano Cucchi davanti alla I Corte d’Assise, il vicebrigadiere dei Carabinieri, Francesco Tedesco, su cosa accadde dopo che seppe della morte del geometra romano. “La mia nota pero’ venne rimossa”, ha poi aggiunto Tedesco.

DOPO SPARIZIONE MIA ANNOTAZIONE ERO TERRORIZZATO

“Dire che ebbi paura e’ poco. Ero letteralmente terrorizzato. Ero solo contro una sorta di muro. Sono andato nel panico quando mi sono reso conto che era stata fatta sparire la mia annotazione di servizio, un fatto che avevo denunciato”. Sono le parole del vicebrigadiere dei carabinieri, Francesco Tedesco, nella sua deposizione davanti alla I corte d’Assise nel processo bis per la morte di Stefano Cucchi.

“Ero solo, come se non ci fosse nulla da fare. In quei giorni io assistetti a una serie di chiamate di alcuni superiori, non so chi fossero, che parlavano con Mandolini- ha proseguito- C’era un po’ di agitazione. Poi mi trattavano come se non esistessi. Questa cosa l’ho vissuta come una violenza”.

MANDOLINI MI DISSE ‘SEGUI LINEA ARMA SE VUOI CONTINUARE A FARE CC’

“Prima di andare dal pm per essere sentito dissi a Mandolini ‘Ma ora cosa devo fare?’ e lui mi rispose ‘Non ti preoccupare, ci penso io, devi dire che Cucchi stava bene. Devi seguire la linea dell’Arma se vuoi continuare a fare il carabiniere”. Cosi’ il vicebrigadiere dei Carabinieri, Francesco Tedesco, nella sua testimonianza nel processo bis sulla morte di Stefano Cucchi, davanti alla I Corte d’Assise. “Ho percepito quella minaccia come tanto seria- ha aggiunto- e poi vedevo i colleghi tranquilli”.

DOPO CAPO IMPUTAZIONE NON POTEVO PIÙ TENERMI DENTRO PESO

“Ho avuto paura perche’ quando sono stato costretto a non dirlo il 29 ottobre 2009 mi sono trovato in una morsa da cui non potevo piu’ uscire. Se avessi parlato allora sarei stato contro il mondo. Poi si sono succeduti vari eventi, sapevo che Casamassima aveva iniziato a parlare e ho cominciato a non sentirmi piu’ solo. Cercavo di trovare un contatto con qualcuno, lo sguardo di Ilaria, tutti modi per cercare di dire questa cosa”. Cosi’ Francesco Tedesco, il vicebrigadiere dei Carabinieri supertestimone e imputato per omicidio preterintenzionale, falso e calunnia nel processo bis sulla morte di Stefano Cucchi, nel suo interrogatorio nel corso di un’udienza nella I Corte d’Assise del Tribunale di Roma.

Il carabiniere ha spiegato cosa lo ha spinto a raccontare la verita’: “La lettura del capo di imputazione ha inciso molto, come pure il fatto che ci fosse un nesso di causalita’ tra il pestaggio, la caduta e la morte. La lettura di quel capo di imputazione mi colpi’ perche’ descriveva quello a cui avevo assistito e da questo e’ scaturito il fatto che non riuscissi piu’ a tenermi dentro questo peso”.