Al Teatro di Documenti va in scena l’amore e la nostalgia di una Libia che non c’è più

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    Al Teatro di Documenti va in scena l’amore e la nostalgia di una Libia che non c’è più

     

    L’intera stagione del teatro di documenti di Roma, pluripremiata sede culturale a sostegno della memoria, si presenta come una brillante costellazione di testimonianze ed estratti della storia recente.

    Tra questi c’è Bel Suol D’amore Libia-Italia: Un secolo di storie, racconto interattivo della degenerazione dei rapporti tra i due paesi ai confini del Mediterraneo, messo in scena da chi ne ha vissuto le implicazioni sociali.

    Interviste, documenti, canzoni, foto, cartoline… un lavoro di ricerca durato diversi mesi e messo in scena da Anna Ceravolo che cerca di dare voce a quelle famiglie che in Libia cercarono un’occasione per costruirsi un’esistenza, o ai 13.000 ragazzi che, alla vigilia del secondo conflitto mondiale, furono allontanati dalle famiglie e messi in salvo in Italia, incontrando poi numerose difficoltà burocratiche nel rientro in Libia e costretti ad anni di separazione dalle famiglie originarie.

    Tante piccole storie che cercano di ricostruire il clima dell’epoca, le speranze di chi andò a “ravvivare il deserto” libico, gettando le basi per una società occidentalmente democratica… di cui però la Libia non sembrava aver bisogno. La misteriosa morte di Balbo, l’ascesa dei totalitarismi, l’Europa che diventa teatro di guerra, le controverse dittature di Mussolini prima e Gheddafi poi che si impongono nel panorama diplomatico tra le due nazioni. Fino a scendere nel baratro di quello che verrà ricordato come il pogrom italiano: la cacciata degli emigranti italiani dalle terre libiche e la confisca di tutti i loro beni.

    Non fu certo un rapporto d’amore quello tra Libia e Italia, ma fu l’amore per una vita giusta ciò che spinse migliaia di famiglie ad avventurarsi ai confini del deserto, ben oltre la compianta patria.

    Le interpretazioni di Alessandro Belardinelli e Piera Fumarola  non ambiscono certo al perfezionismo accademico di scena, quanto piuttosto si limitano a stimolare una riflessione diffusa su quanto il concetto di patria non possa mai definirsi al sicuro, se non nel nostro cuore.

     

    Gianluigi Cacciotti

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