Festa del Cinema di Roma 2021 – Belfast: recensione del film più intimo di Kenneth Branagh

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Un film autobiografico, personale e sofferto. Belfast è questo e molto di più.

 

Irlanda del Nord, fine degli anni 60’, la città di Belfast vive la sua tranquilla esistenza di paese in cui tutti si conoscono e il quartiere è una sorta di famiglia allargata. I bambini corrono in strada e giocano tra loro, i negozianti scherzano o li riprendono. Tutto sembra andare come deve.
L’armonia però viene bruscamente interrotta dal dilagare di un conflitto di origine religiosa. La minoranza cattolica a Belfast viene infatti presa di mira dalle organizzazioni protestanti. Lo scontro tra le due fazioni degenera rapidamente in tutta l’Irlanda e nella notte del 14 agosto esplode violenta a Belfast.
Estremisti protestanti attaccano le vie dove abitano i cattolici e dall’armonia iniziale la città si ritrova catapultata in un clima di terrorismo.

Proprio nella via che ha fatto da scenario alla violenza abita una famiglia di protestanti. La madre con i due figli sono quasi sempre soli, però, perché il giovane papà è costretto a lavorare in Inghilterra a causa della terribile situazione del lavoro in Irlanda in quel momento. Ogni fine settimana il padre rientra a casa, ma il suo rientro questa volta lo vedrà accolto da trincee improvvisate e posti di blocco di quartiere.
Violenza che dilaga, insicurezza, un futuro incerto sono però solo lo sfondo della storia che vede come protagonista il più piccolo dei figli della coppia. Un bambino pieno di sogni e ambizioni, che scopre l’amore e la vita mentre intorno, dovrà presto realizzare, tutte le sue certezze stanno venendo sgretolate.

Belfast è un film strettamente personale per Kenneth Branagh. Il piccolo bimbo protagonista è infatti proprio il regista e autore del film, e la storia che vivremo è quella che lui stesso ha vissuto.

Non a caso non si tratta di un film semplice. Fortemente autoriale, Belfast si prende tutto il tempo che gli può servire, dilata i tempi e ci porta a vivere la stanchezza e lo strazio che i cittadini di Belfast hanno dovuto vivere in quel frangente. Branagh ha aspettato per anni prima di riuscire a trovare il modo migliore per raccontare questa storia che si portava dentro da sempre e l’importanza che gli attribuisce è evidente.

Belfast è strutturato per essere un film d’autore. Con una regia ed una fotografia impeccabili, che per la seconda volta in questa sedicesima edizione della Festa del Cinema di Roma ci ha messo di fronte ad un bianco e nero perfetto. Con l’eccezione in questo caso di tutto ciò che per il piccolo Kenneth era passione, quello e solo quello è mostrato a colori: il cinema, il teatro, il racconto quando appaiono in scena colorano la vita del piccolo e di chi lo accompagna. Figure familiari tra cui spiccano i due anziani nonni magistralmente interpretati da Judi Dench e Ciaran Hinds a cui sono lasciate non a caso le scene più intense e toccanti del film.

Un omaggio sofferto alla sua famiglia, quindi, alle sofferenze e ai sacrifici, alle fatiche e ai finti sorrisi indossati per rendere più dolce l’infanzia di un bambino che non poteva capire cosa stava succedendogli intorno.

Il film paga però un po’ la sua autorialità. Il ritmo è spesso troppo lento e la durata potrebbe pesare a fronte di un’azione su schermo ovviamente molto limitata. Si prende i propri tempi, dicevo qualche riga sopra, ed esagera un po’ nel farlo. Macchie che colpiranno più il pubblico generalista e renderanno il prodotto probabilmente meno “fruibile” a tutti.

Belfast è dolce e violento, è tenero e terribile, è il volto sorridente di un bambino che viene colpito da uno schiaffo. Un racconto personale dalle tematiche universali su cui Kenneth Branagh si prende una rivincita dicendo la sua sull’intero conflitto nord irlandese e aprendoci una finestra sul suo cuore e sulla sua infanzia.

Il film uscirà nelle sale italiane l’11 novembre.

Luca Silvestri

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