Festa del cinema di Roma 14 – Judy

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    Una Renée Zellweger in grande spolvero porta sullo schermo la sofferenza e le speranze di una Judy Garland nell’ultima parte della sua carriera artistica.

    Un’icona del cinema e della musica, una carriera iniziata quando era ancora una bambina ma entrata da subito nella mente e nei cuori di milioni di fan, ma cosa c’era nella mente e nel cuore di Judy Garland?
    Questa volta Rupert Goold (regista) e Tom Edge (sceneggiatore) ci guidano in un viaggio introspettivo, mettendoci da subito faccia a faccia con l’anima della Garland, com’è chiaro già dalla sinossi ufficiale del film:

    “Siamo nell’inverno del 1968 e la leggenda dello showbiz Judy Garland (Renée Zellweger) arriva nella Swinging London per esibirsi al “The Talk of the Town”. Sono passati 30 anni da quando è diventata una star grazie a Il Mago di Oz, e anche se la sua voce si è indebolita, ne ha però guadagnato in intensità drammatica. Mentre si prepara per lo show, Judy litiga con i manager, affascina i musicisti e si abbandona ai ricordi insieme agli amici e agli adorati fan: il suo spirito e il suo entusiasmo risplendono. Persino i suoi sogni più romantici sembrano prendere vita, mentre inizia a essere corteggiata da Mickey Deans, che diventerà presto il suo quinto marito. Eppure Judy è fragile. Dopo aver lavorato per 45 dei suoi 47 anni, è esausta, afflitta dai ricordi di un’infanzia perduta e tormentata dal desiderio di tornare a casa dai suoi figli. Riuscirà a trovare la forza per andare avanti?”

    Un biopic semplice, che cinematograficamente risulta solido, pulito, alternando presente e passato con un montaggio che quasi apre i cassetti della mente della protagonista per approfondirli, focalizzando quindi sempre l’attenzione sul personaggio al centro della narrazione e facendoci apparire tutti gli altri quasi marginali ma non per questo non importanti, anzi, ci porta ad empatizzare anche con loro che sono travolti da una Judy che chiede aiuto implicitamente ma sembra non voler ascoltare nessuno.

    Vera mattatrice del film è chiaramente Renée Zellweger, che in una grande prova di recitazione si trasforma fisicamente e trasmette ogni emozione, fulcro centrale del personaggio e del film stesso.
    Alcol, sonniferi, l’eterna speranza di trovare l’amore e contemporaneamente il forte amore che la lega ai figli; la Judy che vediamo in scena non è affatto quella a cui il grande pubblico è abituato, che sboccia però non appena sale sul palco e comincia a cantare, come ci fosse un interruttore che le permetta di passare da un personaggio all’altro.
    Ma questo è il racconto di una donna spezzata, dai frenetici ritmi imposti a partire dagli anni dell’infanzia passati sul set e se questo passato l’ha resa ciò che è presto evidente che Judy non potrà mai liberarsene; come una condanna ogni dettame della piccola Judy si mostra sulla donna ormai ultra quarantenne che è diventata: dieta ferrea, sonno irregolare (quando concesso), dipendenze e il peso e la responsabilità di dover essere perfetta sono le pressioni che la produzione le ha sempre imposto; e ci è narrato attraverso flashback che dipingono un ritratto molto oscuro di quelle che erano le produzioni dietro a quelle pellicole, in particolare del capo della MGM Louis B. Mayer, dipinto quasi come un orco per la piccola Judy.

    Ma questa donna non smette mai di sperare, prova a combattere, spinta dalle belle persone che incontra intorno a sé e dal suo pubblico che è pronto a ricordarle nei momenti più oscuri che “Somewhere over the rainbow skies are blue, and the dreams that you dare to dream really do come true”

     

    Voto: 7,5

     

    Luca Silvestri

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