PAUL DI’ANNO – THE FAREWELL TOUR

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    Roma – Altra grande serata di metal anni ’80 quella dell’8 dicembre alla Locanda Atlantide di Roma. Sul palco avremo l’onore di vedere il mitico Paul Di’Anno, la leggendaria voce dei primi album degli Iron Maiden.

    E’ il suo tour d’addio, Paul sta girando tutto il mondo per salutare i fan che lo hanno seguito tutti questi anni e ricambiare il loro affetto prima del suo ritiro delle scene.

    Ad accompagnare Di’Anno nelle date italiane sono i Children Of The Damned, nota tribute band che ha, ovviamente, come punto di riferimento gli Iron Maiden.

    C’è una lunga attesa prima che si cominci e la sala si va via via riempiendo all’inverosimile, tutti qui per lui, in una giornata che vedeva a Roma anche Black Veil Brides ed Heaven’s Basement, ma è impossibile rinunciare ad essere presenti qui: questa è la storia del metal.

    Aprono lo spettacolo i Tothem, band romana di gothic metal, con forti influenze symphonic, caratterizzata soprattutto dalla voce da soprano di Roslen che spazia tra modern e lirico con facilità. Tecnicamente validi, riescono a miscelare sapientemente il rock (anche un po’ prog) con le melodie sinfoniche, anche se, non essendo io un amante del genere, li ho visti un po’ fuori contesto in questa occasione. Anche i giudizi del pubblico mi sono sembrati un po’ incerti.

    A seguire arrivano gli Ushas, e non me ne voglia chi li ha preceduti, ma qui siamo su un altro livello. Frizzanti, potenti, divertenti, insomma una band perfetta, hard rock vero, grezzo al punto giusto, quello che abbiamo conosciuto noi, i cosiddetti cinquantenni. Il sound di Ted Nugent è il paragone che mi viene subito in mente (tra l’altro il loro bravissimo chitarrista, Filippo Lunardo, un po’ lo ricorda). Alla voce una “canna”, Giorgio Lorito, capace di “sparare” note così in alto da far cambiare mestiere a parecchi suoi colleghi oltre confine. Particolare e azzeccata la scelta di cantare in italiano questo genere, che sicuramente non è proprio adatto alla metrica della nostra lingua. Bel lavoro al basso di Guido Prandi e poi l’incontenibile e giovanissimo Giorgio Ottaviani, l’ultimo arrivato, che percuote la sua batteria senza sosta, nemmeno fosse il pupazzetto della vecchia pubblicità duracell, che suovava il tamburo all’infinito (nota: è identico a Peter Criss, originale batterista dei Kiss, da giovane). Un’energia così vitale che ha elettrizzato tutti, più che meritati gli applausi ricevuti, hanno dato una sferzata di vigore col loro hard solido e possente. Alla faccia dei vari Vasco, Ligabue e Pelù che di rock non conoscono nemmeno l’odore.

    Si giunge così alla seconda parte, quella dedicata ai Maiden e salgono sul palco i Children Of The Damned per il loro momento di gloria. Più che collaudati, musicalmente esatta copia dei maestri inglesi, hanno proposto una serie di brani dell’era Dickinson, pescando nella lunga produzione a disposizione con brani tipo “Aces High”, “2 Minutes To Midnight” e “The Trooper” dove il bravo Claudio Cesari (voce) si è anche esibito presentandosi in divisa rossa e sventolando la bandiera inglese come fanno i Maiden nel loro spettacolo. Certo la differenza di una cover band con l’originale è quella di non creare nulla di proprio, ma solo di riprodurre esattamente ciò che già è stato fatto. E come i migliori copisti di quadri, Children Of The Damned lo sanno fare alla perfezione. Probabilmente una delle migliori in circolazione in Italia tra le varie tribute band (e non parlo del solo genere metal). Ineccepibile alle chitarre il duo composto da Carlo Micheletti e Francesco Bevini, precisa la sezione ritmica di Matteo Panzavolta (basso) e Federico Paulovich (batteria).

    Non posso certo commentare il loro sound, in realtà non è loro, è dei Maiden, mi posso limitare a dire che sono un’esatta copia, non però per quanto riguarda, come è ovvio, lo spettacolo. Bravi comunque, ma per il momento, visto che è ancora possibile, continuo a godermi i veri Iron Maiden. Mi sarebbe piaciuto sapere cosa pensava intanto nel suo camerino, l’ospite della serata, nell’ascoltare queste canzoni. Forse un pizzico di rammarico?

    Ed ecco arrivare il suo momento: ladies and gentlemen, Mr. Paul Di’Anno!

    Lentamente e come al solito zoppicante per i suoi problemi al ginocchio, appoggiandosi all’asta del microfono, eccolo sullo stage, accompagnato dalla maestosa intro tratta da “Dracula di Bram Stoker”. E si parte subito con “Sanctuary” e poi “Prowler”, è il caos totale, la platea è un grande vortice umano che ondeggia da una parte all’altra. Incontenibile l’euforia in sala, una degna dimostrazione di calore da parte nostra. Certo, chi non lo ha mai visto, o almeno non di recente, è rimasto un po’ allibito trovandolo così cambiato rispetto alle immagini che avevano impresse nella memoria: visibilmente grasso, affaticato nei movimenti, ma l’energia che emana è ancora tanta. E dirò di più: canta ancora alla grande, probabilmente meglio dell’ultima sua presenza qui a Roma un paio di anni fa.

    Wratchild”, “Murders In The Rue Morgue” si susseguono incalzanti alternate a canzoni della sua produzione come “The Beast Arises” o “Children Of Madness”.

    I suoi siparietti con i bicchieri di birra o di liquore sono da seguire attentamente, ne cadono parecchi durante l’esecuzione e lui a turno se la prende prima con il chitarrista e poi con il batterista rei, a suo dire, di farli rotolare in terra. A fine serata le tavole dello stage saranno quasi ubriache. C’è anche spazio per i musicisti dei Children Of The Damned di mettersi in luce con la strumentale “Ides Of March”, naturalmente le esecuzioni di tutti i brani rasentano l’optimum, su questo non c’è dubbio. Buono anche il solo di batteria di Paulovich.

    Intensa l’interpretazione di Paul su “Remember Tomorrow”, commovente anche il momento del ricordo del compianto Clive Burr e poi fa scatenare ancor di più i presenti con “Charlotte The Harlot” e “Killers”, impossibile per la security arginare la spinta dei fan proiettati verso il palco. Ce n’è anche per il fonico della serata, più volte il cantante inglese durante l’esibizione gli ha urlato di abbassare i volumi ed alla fine esasperato gli grida: “Se sei sordo forse però capisci il linguaggio dei segni!” mostrandogli il suo dito medio.

    A discapito della set-list prevista, alcuni brani non vengono eseguiti e Paul ci saluta con “Running Free” cantandola sulla porta di una entrata laterale, quasi a contatto del suo pubblico. Tornato poi sul palco c’è ancora tempo per l’ultimo regalo, “Blitzkrieg Bop” (cover dei Ramones), per concludere in allegria uno splendido concerto e raccogliere l’immaginario e appassionato abbraccio di tutti.

    Ormai è tarda notte, un discreto gruppo di persone attende ancora in sala per una remota possibilità di incontrarlo, nel frattempo, in modo molto discreto, uno dei membri dei Children Of The Damned, mi fa passare dietro il palco ed entro nel suo camerino. Una stretta di mano, una foto e il mio racconto di quel 29 agosto del 1980 a Castel Sant’Angelo, quando, a supporto dei Kiss, lo vidi insieme ad una giovane ed allora sconosciuta band, che rispondeva al nome di Iron Maiden. Era l’inizio della nuova ondata di metallo britannico, un fenomeno destinato a sconvolgere e conquistare il mondo musicale, fino a rendere l’Heavy Metal, negli anni a seguire, il più grande genere di sempre. E questo anche grazie a lui, al Signor Paul Di’Anno.

    (Rockberto Manenti)

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