The Young Pope

Più informazioni su

the-young-popeHo visto il Pio XIII di Sorrentino e devo dire che sono rimasto davvero interdetto. Da un lato c’è la summa sorrentiniana della “patina luminosa”, dei primi piani improvvisi, della musica che guida l’azione nella immobilità dei volti, i colori, l’utilizzo dei dettagli per allargarsi ad un tratto su campi lunghi molto dettagliati. C’è, insomma, tutto il linguaggio cinematografico già visto nei suoi lavori, con l’eccezione di “Youth”.
 Lanny Belardo, ora Papa Pio XIII, il primo pontefice nord americano, è interpretato da un eccezionale Jude Law, veramente sugli scudi in queste due puntate di esordio, sorretto da un ottimo Silvio Orlando e da una splendida Diane Keaton. La terna di attori principali è contornata da una schiera di comprimari ai quali, come la Suora addetta alla pontificia refezione, Sorrentino – non nuovo a vampate di coralità nei suoi lavori – dà, anche per un momento, un primo piano, una inquadratura, un dettaglio da tener sempre da conto nella dinamica di costruzione del ritratto complessivo di cui quel frammento costituisce un elemento mai secondario.
Cosa voglia veramente Pio XIII viene in apparenza spiattellato in faccia allo spettatore nei primi, onirici, dieci minuti della prima puntate e, poi, nella sorprendente vera/finta confessione al mite frate confessore cui un cinico Jude Law estorce proprio segreti soggetti a quel vincolo cui, in nome del potere (ed esercitandolo con un durezza) il Pontefice chiede al frate di trasgredire. Non un esempio di lineare e umile correttezza, quindi.
Non faccio fatica a pensare che in Vaticano stiano fischiando le orecchie a molti come non posso che essere in disaccordo con chi prova a costruire qualche collegamento fra questa rappresentazione della Curia e del Papato e quella, molto più contrita e umana, di Habemus Papam di Moretti: l’inizio della seconda puntata ci dice chiaramente delle umane debolezze e piccinerie di una nutrita pattuglia di cardinali e della sindrome di santità della moglie del comandante delle Guardie Svizzere. E questo senza alcuna delicatezza o accondiscendenza: il potere è orrido e grottesco e così va rappresentato.
Anche qui, come già visto con la scena della Giraffa e dell’illusionista ne “La Grande Bellezza”, Sorrentino ricicla la scena dell’animale fuori contesto: se San Francesco ammansiva i Lupi, Pio XIII fa altrettanto con i Canguri, gentile omaggio del Governo Australiano. Sembra l’inizio di una via per i miracoli di un Santo e, invece, emerge chiaramente che il nuovo Papa è un contenitore vuoto, un narciso innamorato della propria idea del sé, qualcuno cui tutti, dal mentore ipocrita che avrebbe voluto ascendere al soglio di Pietro al posto suo, alla suora-madre che lo ha accolto in orfanotrofio, al Cardinale Segretario di Stato Monsignor Voiello (forse il più umano di tutti i coprotagonisti della serie), tutti, dicevo, vogliono mettere in testa e in bocca pensieri e parole.
La reazione di Pio XIII sarà improvvisa e terribile, diretta alla folla in attesa della sua prima Omelia, ma scritta per piantarsi nelle orecchie del suo entourage e, più probabilmente, detta a sé stesso e tutta inscritta nella sua ossessione per non apparire: niente foto, niente souvenirs con la sua effigie e persino una prima Omelia letta di notte, in controluce, dal balcone illuminato in modo che non lo si possa vedere in faccia.  Non c’è chiave di lettura più psicoanalitica di questa, quella, cioè, di un uomo che non esiste veramente, dato che non ha conosciuto i suoi genitori (quindi non ha potuto definire la propria identità e personalità nel confronto con essi) e che è stato instradato prestissimo alla carriera ecclesiastica, un uomo che esiste solo per essere quel che è, una carica, un ruolo, una funzione che, per quanto elevata, fa di lui qualcosa di insondabile e assai distante dalla normale umanità.

Più informazioni su