Tra Arles e Roma: reliquie di San Cesario, tesoro della Gallia paleocristiana

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    Nel percorso dei  Musei Vaticani si è aperta l’esposizione su San Cesario vescovo di Arles nel periodo della Gallia paleocristiana, durante il difficile periodo delle invasioni barbariche.

    Il Martirologio Romano ci dice:  “Ad Arles in Provenza, san Cesario, vescovo: dopo aver condotto vita monastica nell’isola di Lérins, fu elevato all’episcopato contro la sua volontà; scrisse e raccolse in un corpo unico sermoni per le festività destinati alla lettura dei sacerdoti, perché fossero loro d’aiuto nella catechesi al popolo; compose inoltre regole sia per gli uomini che per le vergini allo scopo di disciplinarne la vita monastica”.

    San Cesario, Cesarius in latino,Vescovo di Arles,  nacque fra il 469 e il 471, entrò diciottenne nel clero di Chalon-sur-Saône, e due anni dopo nel monastero di Lérins. Per causa di  problemi di salute si recò ad Arles. Qui ebbe come maestro di retorica Giuliano Pomerio e il vescovo Aonio, che era suo  parente, il quale gli conferì il sacerdozio, lo mise a capo d’un monastero e lo designò come suo successore. Così, divenuto vescovo (503), egli ricevette da Alarico II, re dei Visigoti, il permesso di convocare il concilio d’Agde. Tuttavia la sua azione nella chiesa ad Arles trovò presto dei contrasti e fu accusato di collaborare coi Burgundi.

    Fu quindi esiliato da Alarico II a Bordeaux, dove rimase fino al 506. Il periodo storico in cui visse era uno dei più terribili e San Cesario si trovava a doversi confrontare con i diversi regni barbarici e le diverse confessioni religiose difatti i Visigoti erano di confessione religiosa ariana che spesso contrastava con la cattolica. Egli cercava continuamente di difendere i deboli, riscattare i prigionieri e consolare le popolazioni oppresse, vendendo gli oggetti preziosi delle chiese per pagare i riscatti, si rivolgeva ai governanti e ai sovrani Visigoti e Burgundi; proprio per essersi rivolto ai Burgundi si ritrovò pure accusato di congiura.

    Costruì ad Arles l’ospedale più importante di tutta la Gallia. Nei suoi sermoni denunciò i residui di paganesimo: le feste del nuovo anno, la consultazione degli auguri, le pozioni magiche contro la fecondità, il culto delle fonti o degli alberi, il riposo del giovedì consacrato a Giove.

    Continuamente se la prendeva con l’ubriachezza. Con la stessa insistenza invitava a versare le decime delle proprie entrate alla Chiesa per le sue opere e, inoltre, a fare l’elemosina. Acquistò poi a Ravenna, la fiducia del nuovo re, l’ostrogoto Teodorico e ottenne a Roma, da papa Simmaco, la conferma dei privilegi metropolitani della sua chiesa, contro le pretese di S. Avito vescovo di Vienne. Grazie a ciò poté tenere i concilî di Arles (524), di Carpentras (527), di Orange (529) importante per l’accoglimento totale delle dottrine agostiniane sulla grazia, di Vaison (529), di Marsiglia. Sotto i Franchi, ebbe parecchie delusioni pur senza perdere influenza. Morì il 27 agosto 542.

    Di san Cesario ci è pervenuto il testamento, la cui autenticità è ormai riconosciuta; due regole monastiche, per i monaci e per le monache del convento diretto dalla sorella Cesaria (questa utilizza testi più antichi, tra cui l’epistola 211 di S. Agostino); alcune lettere e trattatelli teologici sulla Trinità e contro i semi-pelagiani; alcuni testi canonici, tra cui probabilmente gli Statuta ecclesiae antiqua; infine è forse opera sua il cosiddetto simbolo atanasiano e la critica, specialmente del Morin  è riuscita a ricostituire in gran parte la collezione dei numerosissimi sermoni di Cesario, il quale rimaneggiò sermoni altrui e compose parecchie raccolte ch’ebbero larga diffusione.

    L’esposizione mette in mostra reperti inediti oltre alla sua tunica, cintura con fibbia in avorio con rappresentazione del simbolo del XP (chi rho) o anche detto Chrismon, che è il monogramma di Cristo, ed ai calzari in cuoio, sono presenti anche i palli, intessuti in lana perché come sostiene Isidoro di Pelusio: “il pallio dei vescovi in tessuto in lana e non in lino simboleggia la pecorella smarrita alla quale il Signore andò dietro fin quando non la ebbe ritrovata, e ritrovatala se la pose sulle spalle. Infatti il vescovo simboleggia la figura del Cristo, svolge l’ufficio del Cristo e persino nel suo abito lo mostra a tutti, mostrando d’essere imitatore del Pastore grande delle pecore e che portò su di se le nostre debolezze e si addossò le nostre sofferenze” ( Isidoro di Pelusio ep. 2,136).

    Questi palli hanno una importanza storica poiché uno di essi venne donato da Papa Simmaco, come segno del suo impegno pastorale nelle Gallie e della sua comunione con Roma. Lo spirito della mostra mette in evidenza i rapporti di vicinanza tra Arles e Roma in età paleocristiana. Per questa ragione sono esposti i reperti nel settore del Museo Pio cristiano, dove si trovano i principali reperti di arte paleo cristiana rinvenuti a Roma, come ad esempio la famosa statua del c.d. “Buon Pastore”.

    È tuttavia presente anche un bellissimo esemplare di codice carolingio databile all’anno 800 circa, sul quale è riportata la lettera di papa Simmaco a Cesario, datato 6 novembre 513. Anche questo testo mostra il legame di Arles con Roma.

    Altro reperto presente nell’esposizione è il reliquiario realizzato nel 1429 che ospita reliquie pertinenti alle chiese arlesiane di S. Cesario e di S. Biagio,  mentre un piccolo involucro di pergamena ha contenuto fino al 1997 un pezzetto di tunica di san Cesario, corredato da certificato datato al 1839.

    L’esposizione è nel percorso dei Musei Vaticani, e terminerà il 25 giugno 2017.

    Il prezzo del biglietto è incluso nel biglietto dei Musei Vaticani.

    Emiliano Salvatore

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