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Favola della domenica – Il gioco impossibile

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    C’era un volta un ragazzo di nome Donato che camminava dondolando di qua e di là. Quando era fermo, sembrava dovesse cadere da un momento all’altro. Dava l’impressione di reggersi in piedi solo grazie a calamite sistemate nelle scarpe.

    A causa di questo ondeggiamento, vedeva il mondo in continuo movimento. Tutti gli chiedevano se non gli fosse possibile fermarsi, ma egli rispondeva di sentirsi perfettamente a suo agio. Solo quando incontrava Allegra, una ragazza del suo quartiere, aveva la sensazione di non esserlo.

    Gli amici gli suggerivano di impegnarsi in qualcosa di straordinario, allora finalmente sarebbe diventato stabile.

    “In che cosa, per esempio?” chiedeva Donato.

    “Potresti camminare sui carboni ardenti, come i fachiri” diceva Sergio.

    “Oppure scalare la vetta di un’alta montagna” consigliava Antonio.

    “Perché non passeggiare su un filo sospeso in aria come gli acrobati? Troveresti un equilibrio perfetto” concludeva l’amico del cuore Tommaso.

    Donato decise di provare. Calpestò le braci ardenti come i fachiri, raggiunse la cima di una montagna vicina in tempo di record. Infine, provò a camminare su un filo sospeso. Fu talmente in gamba che lo fece anche a cavallo di una bicicletta.

    “E’ incredibile!” dicevano gli amici accorsi a fargli festa. “Ciò che per gli altri è impossibile, a te riesce facile.”

    Si avvicinò Allegra: “Ho saputo dei tuoi successi, complimenti!” Gli amici, discretamente, si allontanarono.

    “Posso chiederti se usciresti con me?” le chiese Donato. Allegra non rispose, presa da forte imbarazzo. Il ragazzo, deluso, cominciò seriamente a pensare che il suo continuo vacillare fosse un impedimento a condurre una vita normale.

    Non ricordava di essere mai stato diverso ma si chiedeva a che cosa fosse dovuto lo strano fenomeno. I genitori, alle sue domande, rispondevano che da bambino aveva subìto uno spavento; da quel momento il suo corpo aveva cominciato a vibrare ma essi non ne ricordavano il motivo.

    Donato volle trovare la soluzione alle sue difficoltà. Cercò di tuffarsi nei ricordi: sfogliò album di fotografie della sua infanzia, cercò nei vecchi quaderni e parlò con le persone che lo avevano conosciuto nei primi anni della sua vita. Non trovò nulla, allora prese lo zaino, salutò i genitori e gli amici e partì alla ricerca di se stesso. Nel suo vagabondare in su e giù per l’Italia, parlò con artisti e poeti, visitò luoghi religiosi e artistici. Imparò molte cose ma continuò a oscillare.

    Un bel giorno ebbe nostalgia di Allegra e tornò al suo paese. “Non sono riuscito nel mio intento” le confidò “continuo a dondolare come prima.”

    “Oh, molto meno, molto meno” lo rassicurò lei. “Comunque, se vuoi che ti aiuti, io conosco un saggio, qui in città, con cui potresti parlare.”

    “Portami da lui” esclamò Donato.

    Di fronte al famoso veggente, il ragazzo si sedette raccontando tutte le tappe del suo viaggio alla ricerca di se stesso.

    L’uomo lo ascoltò attentamente poi diede il suo illuminato parere:

    “Devi recarti in un eremo che si trova in un bosco del Centro Italia. Là troverai alcuni frati che ti aiuteranno a ricordare la causa del tuo fastidioso tentennamento.”

    Donato fu felice di fare un ultimo tentativo. Questa volta Allegra l’avrebbe accompagnato. I loro genitori li videro partire pieni di speranza.

    I due ragazzi si diressero verso un convento di frati ai margini di un bosco. Qui i religiosi ascoltarono con interesse il dilemma di Donato. Dissero che nel cortile del loro convento esisteva una cavità profonda, un antico pozzo, dove in tempi antichi venivano nascosti i perseguitati del tiranno dell’epoca e ci si era accorti che gli uomini che uscivano di là avevano un altro aspetto, una grande contentezza per cui l’avevano chiamato “il pozzo dei desideri”. Nessuno però aveva mai spiegato il motivo di tale cambiamento.

    Fiducioso, Donato si calò nella cavità. Si trovò in un ambiente umido e ampio dove arrivava appena un filo di luce. Dirigendosi da quella parte, si affacciò in un pertugio e uscì all’aperto. C’era un sentiero che portava nella foresta. Tanta era la bellezza delle piante, dei fiori, il canto che emanava dalla natura che egli si sentì estasiato e tanto euforico da mettersi a saltare e a correre. Arrivò sul ciglio di un burrone. Il sentiero continuava dall’altra parte ma il ponte era crollato. Donato ebbe voglia di saltare sul precipizio e raggiungere così l’estremità opposta. Si sentiva come un bambino, attirato dai giochi più spericolati e impossibili.

    Questa volta gli sembrò di avere le ali e prese il volo. Se qualcuno l’avesse visto non avrebbe creduto ai propri occhi. Atterrò sul ciglio dirimpetto come una farfalla. Incredulo, esplose in un grido di gioia. Ora tutto gli sembrava possibile. Si sedette sul terreno e contemplò il luogo circostante.

    Gli apparve un paesaggio fiabesco come quello che immaginava nell’infanzia. Frugò allora tra i ricordi e gli si presentarono davanti agli occhi le immagini di quell’evento infantile che era stato la causa del suo continuo oscillare: era seduto su un cavallo a dondolo e diversi bambini giocavano intorno a lui. Qualcuno di essi piangeva perché era venuto il suo turno di salire sul cavallo. Donato non sentiva ragioni. Continuava a dondolare sulla cavalcatura. Venne il padre di quel bambino. Lo strappò con violenza dalla sella di legno poi lo trascinò in un angolo dove lo rimproverò con tale durezza che Donato ne rimase quasi paralizzato. Non rivelò a nessuno l’accaduto. A casa si mise a letto con una febbre altissima che durò diversi giorni. Quando si rialzò credette di non riuscire più a camminare. Il suo moto era diventato ondeggiante.

    Come svegliatosi da un sogno, si rialzò dall’erba e, a passi lenti, prese la via del ritorno. Ora non sapeva più volare ma scoprì poco lontano un ponte che univa i due cigli del burrone. Lo attraversò e fece ritorno nel pozzo. Diede il segnale convenuto per risalire. Quando Allegra e i frati lo videro, scoprirono sul suo viso la stessa espressione trasognata che doveva essere stata degli antichi fuggitivi.

    Donato iniziò a camminare. La sua posizione era diventata eretta.

    “Donato, sei guarito!” esclamò la ragazza. Egli la guardò senza capire poi, muovendo altri passi, si rese conto di non ondeggiare più. Girò per il cortile passeggiando avanti e indietro per diverso tempo fino ad abituarsi al suo nuovo stato. Ben presto capì di essere in perfetto equilibrio, perfettamente guarito.

    “Evviva!” esclamò al colmo della felicità. “Complimenti!” gridarono tutti i presenti.

    Quando questi gli chiesero come fosse riuscito in così breve tempo a superare il suo spiacevole impedimento, egli rispose con slancio: “Imparando a volare..”.

    Maria Rosaria Fortini

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