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Favola della domenica – La canzone romanza

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    C’era una volta una canzone romanza che viaggiava sulla bocca di trovatori e menestrelli in ogni piazza o palazzo o castello che i poeti cantori visitassero. Era così vivace ed estrosa che tutte le dame, i cavalieri e perfino la gente umile dei villaggi desideravano impararla.

    “Buondì brava gente! Eccovi una canzone che incanta l’orecchio di chi ascolta e fa nascere, come per magia, un sentimento d’amore nei giovani cuori.”

    Una folla speranzosa si riuniva intorno al musico il quale, con il liuto a tracolla, lusingava chiunque con le sue strofe.

    I trovatori che visitavano più frequentemente le Corti dei nobili signori inducevano gentili pensieri convincendo uomini e donne che presto si sarebbero innamorati. Alla Corte di Re Ferdinando quella canzone aveva in animo di avvicinare il Duca Enrico e la Contessa Margherita, in vacanza estiva, ospiti del sovrano.

    Il Duca era padre di una deliziosa bambina di sei anni. Tanto più era socievole e amabile Costanza, tanto più ombroso era il suo genitore.

    La Contessa, vedova di un valente cavaliere morto in battaglia, era la mamma di un vivace ragazzo di otto anni di nome Ludovico.

    I due fanciulli giocavano spesso insieme ed erano appassionati entrambi delle canzoni che i trovatori e i menestrelli eseguivano nelle occasioni di convivio a Corte.

    Avrebbero voluto che anche i loro genitori parlassero amabilmente tra loro ma ciò era impedito dal carattere del Duca e dalla ritrosia della Contessa ancora immersa nel ricordo del compagno caduto.

    La canzone romanza aveva però i suoi metodi. Venne imparata a memoria da Ludovico che la canticchiava ogni volta che la sua mamma era presente tanto da far fiorire nell’animo della gentildonna una certa nostalgia per i tempi passati.

    Così era per Costanza che aveva costretto suo padre a intonarla ogni sera prima di addormentarsi.

    Fu così che sia Enrico che Margherita non di rado mormorassero quel motivo, anche quando s’incontravano per caso nei giardini reali.

    Durante una serata di ricevimento al castello, il Duca Enrico ardì invitare la Contessa a ballare e quando iniziarono le note della famosa melodia egli strinse più forte la mano delicata di lei.

    “E’ una bella festa, non è vero, cavaliere?”

    “Sì, io non amo le danze ma c’è questo motivo romanzo che mi conquista.”

    “Mio figlio lo suona e lo canta spesso.”

    “Anche Costanza ne è appassionata.”

    “A me ricorda quand’ero ragazza.”

    “A me quando ero sposato. Mia moglie mi ha lasciato presto, aveva una salute molto delicata.”

    “Peccato!” commentò Margherita che aveva sentito raccontare la storia del Duca da qualche dama di palazzo.

    “Vi dispiace se smettiamo? Non sono un grande ballerino.”

    I due giovani, il Duca aveva già trentacinque anni, si sedettero a parlare amabilmente.

    Costanza e Ludovico non mancarono di notare che tra i loro congiunti era nata una certa familiarità.

    Per affrettare gli eventi escogitarono uno stratagemma: pregarono il poeta cantore di suonare la sua più conosciuta canzone ai due nobili quando li avesse trovati da soli. In cambio, essi gli confidarono la loro speranza che i rispettivi genitori si innamorassero.

    Il trovatore fu ben felice di accontentarli. Lo scopo delle sue melodie era appunto ciò che promettevano, di far nascere nei giovani cuori sentimenti d’amore.

    Un dì, dopo essere stati quasi ossessionati dalle ben conosciute strofe, Enrico e Margherita si ritrovarono, per caso, a passeggiare fuori dal castello nei pressi di un ruscello.

    “Mia gentile signora, qual buon vento vi ha condotta fuori dal maniero senza alcuna scorta?”

    “Buondì cavaliere. Io non ho paura. Nella mia terra non c’è alcun pericolo. Sono abituata a muovermi a mio piacimento.”

    “Qui non è prudente. Permettete che vi accompagni nella vostra passeggiata?”

    “Con piacere.”

    Chi avesse osservato da lontano una coppia attraversare il piccolo ponte sul ruscello, sarebbe rimasto colpito dall’avvenenza della donna e dal fascino dell’uomo il quale, tenendo sopra la sua la mano della dama, le si rivolgeva sommessamente.

    Quando Costanza e Ludovico li videro rientrare tenendosi quasi a braccetto frenarono a stento l’entusiasmo e mossero loro incontro correndo.

    “Questo pomeriggio il Re ha preparato per tutti noi ragazzi un intrattenimento. Vi andiamo insieme, madre?” domandò il bambino. “Ma certo, Ludovico.”

    “Verrete anche voi, non è vero, padre?” pregò Costanza. “Volentieri!”

    La canzone romanza in quell’occasione decise di mettere in atto tutte le sue virtù.

    Ludovico volle mostrare agli invitati il suo talento per la musica e interpretò con sentimento la canzone romanza mentre Costanza l’accompagnò con armoniose movenze.

    La sera, mentre il Duca e la Contessa si attardavano per le sale del castello in un’ultima conversazione, apparve l’astuto menestrello con lo strumento tra le braccia e riattaccò le famose note che avevano fatto avvicinare i cuori di Enrico e di Margherita.

    “E’ una serata stupenda non vi sembra Contessa? Vogliamo uscire un poco sulla terrazza?” propose il Duca.

    “Vi accompagno con piacere ma, vi prego, chiamatemi Margherita.”

    Dopo vari minuti di corteggiamento, il Duca domandò: “Vi dispiacerebbe molto se un domani doveste lasciare i vostri possedimenti?”

    “No, certamente. Ci sono i parenti di mio marito che rimarrebbero. Ma perché mi dite questo?”

    “Volevo chiedervi, se non oso troppo, se mi faceste l’onore di diventare mia moglie.”

    “Oh, Enrico.. Ci p- penserò” mormorò balbettando la Contessa.

    Il menestrello, che li aveva seguiti, continuava a strimpellare imperterrito le accattivanti strofe :

    “Quando amore viene

    niuno lo può fermar.

    E quando in ciel le stelle brillano

    trafitto per sempre è il cor.

    E se un cavaliere la mano mi chiederà

    Con gioia sua sarò…”

    Margherita non resisté all’incanto della melodia e, avvicinando il suo capo all’amato, suggellò per sempre con un bacio il travolgente e incontenibile amore che la canzone romanza aveva in loro suscitato.

    Maria Rosaria Fortini

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