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Favola della domenica – La gazza pica

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    C’era una volta una bambina di nome Letizia che amava i colori, la musica e le pietre che brillano. Era povera, i suoi genitori potevano comprarle pochi giocattoli.

    Abitava in un paese di mare. La sua più grande gioia era raccogliere i sassi che le onde del mare portavano a riva. Erano lisce, colorate, levigate e luccicanti. Ci giocava sulla spiaggia, a casa e poi le riponeva in un cassetto. Di quando in quando, le riportava sulla riva perché si bagnassero con la risacca.

    Il padre pescatore era spesso in mare e, quando tornava con il pesce da vendere ai bagnanti e ai turisti, sceglieva per lei qualche granchio e una pietra più originale capitata per caso tra le maglie delle reti.

    Un giorno Letizia vide una signora distesa sulla sabbia a prendere il sole. Portava al collo un monile luccicante.

    Le brillarono gli occhi. Il sole rifletteva con i suoi raggi le pietre color oro e verdi del girocollo e si sentì incredibilmente attratta dal quel luccichio.

    Si avvicinò, gli occhi fissi sulla collana.

    La giovane donna la salutò: “Buongiorno, cara”.

    “Buongiorno”.

    “Abiti da queste parti?”

    “Sì, nella casa alle nostre spalle”.

    “Sei fortunata. Puoi stare tutto l’anno a contatto con il mare e puoi giocare sulla spiaggia senza pericolo”.

    Letizia annuì. Non aveva smesso di fissare la collana.

    “Vedo che ti piacciono i gioielli, ma questo non ha molto valore”.

    “E’ molto bello”.

    “Vorrei fare un bagno” continuò la donna togliendosi il monile. “Puoi tenerlo con te finché non torno?”

    Letizia annuì, felice. Avrebbe potuto giocare con quell’oggetto, ai suoi occhi, meraviglioso.

    Lo rigirò tra le mani con cautela, lo dondolò per farlo brillare ai mille riflessi dorati del sole. Seduta sulla spiaggia, pensava al da farsi.

    A un tratto sentì un fruscio dietro di sé. Un uccello bianco e nero, con una lunga coda, stava cercando di travolgerla. Urlando, la ragazzina si mise da parte per schivarla. Sapeva che quel volatile si chiamava ‘pica’ ma anche ‘gazza-ladra’ perché, al pari di lei, era attratta dagli oggetti luccicanti.

    “Vai via, bestiaccia!”

    “Non sono una bestiaccia e quel gioiello è mio”.

    Letizia ammutolì. Non aveva mai sentito parlare un volatile. Andò verso casa per nascondersi.

    L’uccello la seguì ma non l’attaccò: “Che vuoi fare? Nascondere la collana e tenerla per te?”

    “Se anche fosse? Anche voi siete delle ladre”.

    “La mia razza è nata con questa caratteristica ma voi umani no. In genere, rispettate i possedimenti altrui”.

    Letizia divenne rossa in viso: “Mia madre è malata. Forse potrò aiutarla barattando questa collana con le medicine che le servono”.

    “Stai dicendo la verità?”

    “Sì. Io sonopovera. Mio padre lavora notte e giorno per mantenerci”.

    “Vuoi dire che non è giusto che alcuni abbiano più degli altri?”

    “Sì, sì”.

    “Ora riporta il gioiello alla signora. Vedi, è tornata a riva e ti sta cercando. Penserà che l’hai derubata”.

    “Dove prendo i soldi che mi servono?”

    “Via, ti regalerò qualche gioia che ho accumulato nel mio nido. Voglio essere generosa e aiutarti. Su, vai da lei”.

    Letizia raggiunse la donna e le restituì la collana. Poi tornò indietro.

    Non trovò più la gazza che si era allontanata per raggiungere il suo nido.

    Poco dopo ritornò e lasciò cadere una gioia dorata sulla sabbia. La ragazzina la raccolse e la portò alla madre. Le raccontò l’accaduto.

    Non le disse di aver scambiato frasi con una pica ma disse di averla vista volare con un oggetto lucente tra le zampe. Quando si era trovata sopra di lei, l’aveva lasciato cadere.

    “Ora puoi comprarti le medicine che ti servono”.

    La madre ringraziò la sorte che era stata benevola con loro e disse: “Credevo che l’avessi rubata. Sono felice che non sia così”.

    “Io avrei anche rubato per procurarti le medicine che ti faranno guarire”.

    “Non serve, figlia mia. Le mie preghiere sono state esaudite. Sono più efficaci dei sotterfugi. Ricorda, l’onestà ci premia sempre”.

    Maria Rosaria Fortini

     

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