Più della guerra occorre temere il dopoguerra

La strana voglia di guerra dell'anziano presidente USA Joe Biden (A. Puccio) - FarodiRoma

Il conflitto ucraino finirà, ma quello sarà l’inizio di un’epoca molto pericolosa
Nell’epoca della iper informazione in tempo reale, fatta di elementi social, di inutili parole affidate a twitter o a facebook, è estremamente facile perdere di vista il quadro complessivo della vicenda ucraina.
Un dato di fatto è che l’incrociatore “Moskva” (ex “Slava” nella marina sovietica) è fuori combattimento, probabilmente affondato. Il colpo all’orgoglio russo è secco. Sia che la causa della perdita del battello siano i missili ucraini “Neptune”, sia invece una causa accidentale (esplosione di munizioni), ciò che è emerge è la patente incompetenza della catena di comando della marina russa.
Mettere a rischio un’unità maggiore, per di più la nave ammiraglia del dispositivo navale del Mar Nero, è infatti segno di grande superficialità e, quando il rischio si traduce in danno, è qualcosa che può determinare conseguenze di più ampio raggio, sia in relazione al contesto bellico, sia in relazione al contesto geopolitico più esteso.
Tuttavia, il “Moskva”, come molti altri sistemi d’arma russi, è un residuato degli anni ottanta: una nave specializzata di tipo offensivo pensata per colpire le portaerei americane. Una unità che andava protetta da unità di supporto con caratteristiche difensive anti missile. Lo stesso si può dire della panoplia di mezzi corazzati visti sul campo in Ucraina che arrivano direttamente dagli arsenali sovietici (BMP e T72) e delle forze aeree, dotate di munizionamento a gravità che le espone ad attacchi con missili a spalla da parte delle unità di terra ucraine.
I fatti sono che gli ucraini, usando armi moderne, ma a costo relativamente basso (i MANPADS occidentali e i droni turchi) hanno imposto ai russi un mutamento repentino di strategia.
Quello che, in effetti, ha contraddistinto l’azione russa, sin dall’inizio, è una grande confusione negli obiettivi finali della campagna ucraina che, senza dubbio, devono essere stati rivisti al ribasso molte volte in questi cinquanta giorni di guerra, quando è stato chiaro alle gerarchie politiche e militari russe che si erano infilate in una proxy war con un fronte occidentale immediatamente irrigiditosi in posizioni da guerra fredda o peggio.
Molti ufficiali americani, specialmente quelli più anziani che hanno vissuto il periodo finale della contrapposizione fra i blocchi, evidenziano in effetti che il conflitto ucraino è qualcosa che assomiglia molto agli scenari studiati e ristudiati dalla NATO negli anni 80, con la differenza che le forze armate della Federazione Russa non sono all’altezza dell’ex Armata Rossa.
La Russia ha già perso la guerra (inutile) che ha inteso scatenare.
La ha persa da un punto di vista ideologico perché le democrazie occidentali, per quanto in crisi, hanno opposto un fronte comune e piuttosto coeso che rende abbastanza irrilevante la posizione nazionalista di Orban e i distinguo serbi.
La ha persa sul piano tecnologico dato che le forze armate russe stanno offrendo prestazioni imbarazzanti sul terreno, in cielo e in mare contro un avversario che non è dotato di artiglieria pesante, sistemi di difesa aerea degni di questo nome e praticamente senza aviazione militare e senza una marina efficace.
La ha persa sul piano politico perché si è intestardita a voler proiettare una narrazione da “grandeur” politico-imperiale che è sostenibile solo ricorrendo alla minaccia nucleare e alla non volontà dei paesi occidentali di arrivare a uno scontro militare diretto.
Perché se a questo si dovesse arrivare i russi verrebbero rapidamente ed efficacemente sconfitti sul terreno da una preponderante campagna aerea, senza, probabilmente, il bisogno di un intervento terrestre, mentre il Mar Nero, la Crimea e la forza navale russa sarebbero persi nel giro di qualche giorno.
Credo che a Mosca questo lo sappiano molto bene, sanno cioè che non possono “vincere la guerra”, ma possono soltanto tentare di definire sul campo uno status quo che consenta loro di poter rivendicare sul fronte interno una qualche forma di successo, per compattare il regime e la popolazione e chiudere una campagna che li sta dissanguando in termini di mezzi, uomini e costi.
E’ mia convinzione che il periodo veramente pericoloso inizierà con il dopoguerra: un’Ucraina fortemente occidentalizzata, fortemente presidiata da un dispositivo militare multinazionale, l’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato, la Polonia in armi e un aumento senza precedenti della presenza americana nel teatro europeo in terra e mare, come non si vedeva dagli anni ’80. Senza contare l’isolamento economico.
L’occasione di costruire un rapporto diverso da quello creato a Yalta fra Europa e Russia è persa per decenni, decenni che saranno occupati da un irreggimentamento euroatlantico nel quale chi comanda (gli USA) e chi obbedisce (l’Europa continentale) dovrà sostenere sia i costi di un nuovo equilibrio della paura, confrontandosi con un regime russo sempre più autarchico ed autoreferenziale, sia il confronto geopolitico con la Cina, in un clima di crescente freddezza dei rapporti e di “deglobalizzazione” delle produzioni.
Le determinanti economiche della situazione sono infatti due: il ruolo di provider energetico dei russi – che sta venendo smantellato – e quello di “manifattura mondiale” dei cinesi.
L’Occidente dovrà impedire la saldatura sino-russa soprattutto con le armi dell’economia e del commercio, muovendosi su un sentiero molto stretto e molto pericoloso.
I semi di una futura nuova guerra mondiale si stanno piantando in queste settimane.