SCUOLA | Precarie contraddizioni

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    Il teatrino delle supplenze in Italia, 200 convocazioni per un solo posto di sostegno –

    Un bellissimo spettacolo a cui presenziano più di duecento persone, invitate con una mail con indicato l’orario di inizio e il nome del “teatro” in cui recarsi.

    C’è chi parte, valigia in mano, dalle lontane Sicilia e Calabria perché è un appuntamento che non si può perdere e la prosa, come è stata descritta, si dovrebbe presentare interessante, potrebbe essere lo spettacolo giusto per risollevare l’umore.

    I corridoi si riempiono, sempre più gente inizia ad arrivare e a capire di non essere alla prima tanto sperata ma ad una replica, e per lo più brutta. Cominciano le prime lamentele.

    La compagnia che mette in piedi lo spettacolo è la Scuola italiana; gli attori, gli addetti di segreteria e amministrativi di una delle scuole più grandi del centro di Roma; il teatro la scuola stessa; il palco un suo corridoio.

    Due gli attori protagonisti, un amministrativo e una mail. Il primo, per eccesso di zelo, manda a chiamare tanta, troppa gente per un unico posto di lavoro come insegnante di sostegno; l’altro, il mezzo con cui si invitano i docenti a presentarsi. La mail è piena di sogni, speranze e aspettative, ma fredda e incompleta, manca, infatti, uno stralcio di graduatoria, che di norma viene inserito, per evitare un assembramento di così tanta gente.

    Il pubblico che assiste a tutto questo è un gruppo di circa duecento aspiranti docenti precari, avvezzo a vedere questi spettacoli, ed infatti è stanco di ascoltare sempre gli stessi copioni e vedere sempre le stesse scene, ed allora inizia a protestare gridando “ridicoli”, “buffoni”, vergogna”, chiedendo lumi al direttore.

    La compagnia, non sapendo come uscirne, decide allora di chiudere il sipario, barricarsi negli uffici; intanto il pubblico continua a crescere, e con lui la tensione. Il direttore non c’è e a cercare di smorzare i toni è costretto a uscire un figurante che, palesemente in difficoltà, prova ad arrampicarsi sugli specchi, cercando una giustificazione al grave errore commesso e una soluzione che accontenti tutti, ma che purtroppo, non porta a nulla di concreto.

    Il pubblico quindi inizia a scemare, va via con tanta delusione e la convinzione che purtroppo questi spettacoli si ripetono ogni giorno, e che con la precarietà devono conviverci.

    È stato avvilente vedere tutta quella gente ammassata nel corridoio dalle otto del mattino, per paura di arrivare tardi e perdere il posto, guardare i loro volti, leggere lo sconforto negli occhi misto ad un sorriso ironico, quando una vocina ha detto “c’è l’avente diritto”, una persona sola su duecento.

    Mi domando perché costringere a queste umiliazioni gente che non ne ha bisogno, persone, anche di mezza età, che vivono di lavori precari, giovani che vorrebbero solo mettere a frutto i propri studi, ma che vedono il loro posto occupato da chi, invece, dopo aver lavorato tanti anni vorrebbe andare in pensione e non può.

    A farne le spese, tra tutte queste contraddizioni, è una bambina che da dieci giorni non ha il suo insegnante di sostegno e a cui è negato il diritto allo studio.

    A questo purtroppo si è ridotta la scuola italiana: ad un teatrino di quart’ordine (senza offesa, perché lì sicuramente si fa del buon teatro) che riesce ad offrire solo un ripetitivo spettacolo dal titolo “Precarie… contraddizioni”.

    Alessio Barone

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