Le rubriche di RomaDailyNews - OPS - Opinioni politicamente scorrette - di Arrigo d'Armiento

Ainis: i partiti sono morti, i parlamenti non stanno troppo bene

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    Ainis: i partiti sono morti, i parlamenti non stanno troppo bene –

    I partiti sono morti e i parlamenti non stanno troppo bene, come direbbero Mark Twain e il copione Woody Allen. Se muoiono pure i parlamenti, addio democrazia. Conviene cercare di salvarla, magari con la respirazione bocca-a-bocca. Ci prova anche Michele Ainis, oggi nell’editoriale su Repubblica, proponendo alcuni tentativi di pronto soccorso, prima che l’emergenza si faccia catastrofe.

    I partiti, certifica Ainis, “sono dipartiti, amen. Ultimi certificati di
    morte: l`elezione di Trump, nonostante l`ostilità dell`establishment repubblicano; e su quest`altra sponda dell`oceano Macron (che ha sbaragliato i partiti storici francesi con una start up nata un anno fa) o i 5 Stelle (il non partito primo in tutti i sondaggi italiani). (…)

    Dopo, avverte Ainis, “rischiamo d`assistere alle esequie dei Parlamenti. Giacché sta di fatto che la fortuna delle assemblee
    legislative coincide con quella dei partiti politici, il cui battesimo fu celebrato per l`appunto in Inghilterra, con il Reform Act del 1832. In origine, partiti di notabili; poi partiti di massa, con l`introduzione
    del suffragio universale; infine partiti personali, dove il faccione del leader tracima in tv. Ma in ogni caso l`astro dei partiti illumina uno specifico modello di democrazia, quella rappresentativa; e infatti la
    loro disgrazia adesso si riflette sulla crisi che ovunque colpisce i Parlamenti. (…)

    Ma, fa sperare Ainis, “la democrazia parlamentare può ancora navigare fra i marosi del terzo millennio. Ma a patto d`imbastardirsi,
    di contaminarsi con elementi di democrazia diretta, d`accogliere in grembo un po` di fantasia (o d`eresia) costituzionale”.

    Questi i cinque suggerimenti di Ainis: “Primo: più forza al referendum. La nostra Carta menziona solo quello abrogativo, oltretutto tarpandogli le ali con il quorum di validità. E allora fuori il quorum,
    dentro il referendum propositivo, già previsto dalla Costituzione dí Weimar del 1919. Dentro altresì l`iniziativa legislativa popolare
    vincolante, le consultazioni obbligatorie sulle grandi opere pubbliche (…), varie forme di democrazia digitale, interpellando i cittadini attraverso il web. Insomma, sulle scelte pubbliche il dominio del
    Parlamento deve trasformarsi in condominio.

    Secondo: “il peso del non voto. È pari a zero, anche se ormai un elettore su due diserta le urne. Eppure nessuna assemblea legislativa
    può deliberare quando manchi il numero legale, quando cioè sia assente la metà più uno dei suoi membri. Eppure un Parlamento non votato è un Parlamento delegittimato. Rimedi: va a votare il 50% degli
    elettori? Dimezzo gli eletti, e al contempo ne riduco i poteri, per esempio vietandogli la revisione costituzionale. (…)

    Terzo: “due mandati e basta. Regola che in Italia vale  per i sindaci o per i presidenti di regione, sulla scia del divieto introdotto dagli americani nel 1951, dopo la quarta elezione d`un uomo che pure si chiamava Roosevelt. La regola, insomma, colpisce chi riveste
    ruoli di governo, non i parlamentari. Giusto? No, sbagliato. Anche perché altrimenti la politica resterà il mestiere di chi non ha mestiere, come denunziò Max Weber (La politica come professione, 1919 ).

    Quarto: “il recall. Ossia la revoca degli eletti immeritevoli, attraverso un referendum personale indetto in corso di mandato. Funziona così in Svizzera dal 1846, negli Stati Uniti dal 1903, nonché in varie altre
    contrade. Ne avremmo urgenza anche in Italia, dove puoi assentarti dai lavori parlamentari per un anno senza rischiare sanzioni. E dove i cambi di casacca, dall`inizio della legislatura, toccano quota 469, un record. (…)

    Quinto: “il sorteggio. Sì, l`estrazione a sorte d`una pattuglia di parlamentari, per formare un cuscinetto tra maggioranza e opposizione”.

    Non so se i suggerimenti di Ainis – che invito i lettori a andarsi a leggere integralmente su Repubblica nell’edizione cartacea o in quella digitale – possano scongiurare la fine del parlamento, la fine della democrazia. Però, almeno Ainis ci prova, mentre i capi di quel che rimane dei partiti fanno finta di ignorare il problema, tanto più grande della loro capacità di capirne l’importanza. O, forse, della sorte della democrazia gli interessa ben poco. (Ard)

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