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La Costituzione e il boomerang di Mattarella

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    La Costituzione e il boomerang di Mattarella –

    In politica, come in tutte le cose, oltre alle regole bisogna tener presenti i rapporti di forza. E certe volte non vince chi ha più forza, ma chi sa usarla meglio. Vediamo che cosa sta succedendo tra Quirinale e diarchia Di Maio-Salvini.

    Mattarella, di fronte ai risultati delle elezioni, poteva scegliere tra due forni, quello di centrodestra, la coalizione con più seggi, e quello dei grillini, il partito con più voti. Ha preferito, chissà perché, servirsi dal secondo forno. Di Maio, pure lui davanti a due forni, dopo il niet del Pd ha scelto la Lega.

    E così, per la prima volta nella storia della repubblica, Mattarella ha chiamato Di Maio e Salvini e li ha pregati di trovare un accordo per fare un governo, rinviando da una settimana all’altra la nomina di un presidente del consiglio incaricato. L’ha fatto solo quando i due dioscuri legrillini o grilleghisti hanno trovato un candidato terzo, un professore da proporre al capo dello Stato. La novità, lasciamo perdere se costituzionale o meno, è che Mattarella ha prima “nominato” la maggioranza e poi il presidente del consiglio. Non era mai successo.

    La costituzione attribuisce al presidente la nomina del presidente del consiglio, non la scelta della maggioranza parlamentare. Come precedente c’è, ma solo in parte, quello di Saragat, che nel dare l’incarico a un capo del governo, gli imponeva di mettere insieme una maggioranza di centrosinistra. Insomma, sceglieva il premier e gli indicava dove andare a cercarsi i voti. Mattarella ha fatto il contrario: ha scelto la maggioranza e ha chiesto ai due partiti di cercarsi un aspirante premier. S’è preso un po’ di potere in più e ha rinunciato a un po’ del suo potere. Una decisione che rischia di diventare un boomerang per i poteri del capo dello Stato.

    Nominato Giuseppe Conte, che nessuno conosceva prima, i guai sono sorti quando a Conte è toccato il compito ingrato di presentare la lista dei ministri, compilata da leghisti e grillini. I quali la lista l’avevano già pronta, addirittura prima di aver trovato il nome del premier. E nella lista ci sono nomi che a Mattarella non piacciono, il più indigesto pare che sia Paolo Savona, noto economista, con grande esperienza amministrativa e politica, essendo stato più volte ministro.

    Savona, nemico dell’euro che considera il responsabile della crisi economica italiana, non è sopportato a Bruxelles, a Berlino e a Parigi, abituati a ministri italiani ben più inesperti, malleabili, manipolabili, circuibili, obbedienti. E Mattarella ne tiene conto.

    Chi vincerà nel braccio di ferro tra Mattarella, che non vuole Savona, e Salvini, sostenuto da Di Maio, che minaccia di bloccare tutto se Savona non sarà nominato ministro dell’economia? La costituzione parla chiaro: il presidente nomina i ministri su proposta del presidente del consiglio. I predecessori di Mattarella hanno sempre messo bocca sulle liste, bocciando ora quello ora quell’altro nome. Ma lo hanno fatto avendo il coltello dalla parte del manico.

    O fate come dico io, dicevano, o l’incarico di fare il governo lo do a qualcun altro. E i partiti abbozzavano, perché il presidente poteva scegliere tra diversi forni. Stavolta però questo non è possibile. Se Mattarella esclude di dare l’incarico al centrodestra, deve darlo per forza alla coalizione grilleghista. E a questo punto il manico del coltello lo hanno in mano Di Maio e Salvini.

    L’unica alternativa è quella di sciogliere le camere e tornare alle urne. Magari dando a un governicchio l’incarico di convincere le camere a approvare una legge elettorale meno inconcludente del rosatellum. Ma neanche questo è ciò che Mattarella ha mostrato di volere.

    Il braccio di ferro è in corso, vedremo presto – speriamo presto – chi ha braccia più robuste. (Nella foto, Paolo Savona)

    Arrigo d’Armiento

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