Brunetta vuole il “travet del mese”

Ci risiamo. Il lupo non perde mai il vizio. Nel caso di specie il ministro Brunetta torna ad insistere – essendo profondamente narciso – sugli errori del passato e lo fa infilando in gola ai sindacati, quasi increduli rispetto alle dichiarazioni di questi giorni (in apparenza una autosmentita colossale del fustigatore di fannulloni del 2009/2010), i due super bonus che aveva codificato nel D.Lgs. 150/09: il premio al “migliore” ed il premio per l’innovazione.

Come se far funzionare organizzativamente una macchina complessa come quella di una amministrazione pubblica possa dipendere dallo spirito di iniziativa dei singoli, quando nella realtà è esattamente il contrario: la macchina non funziona ed i singoli, non coinvolti, tendono ad adagiarsi.

Il motivo è semplice ed ha un nome: sentirsi partecipe di un processo utile agli altri. Persino la parola “produttività” è un innesto forzoso nel contesto pubblico perché si lega ad una idea di quantità di lavorazioni standard e sempre uguali. Il fordismo però è morto da decenni anche nelle fabbriche. Trovarsi a lavorare in un ambiente proattivo, inclusivo, capace di “pesare” le capacità del funzionario e di allocarle nel modo più efficace, trasmettendo ai singoli l’idea del valore del proprio servire la cosa pubblica, quella è la vera molla di una motivazione professionale.

Perché parliamoci chiaramente: lo Stato paga malino e spesso anche in ritardo quando si guarda all’accessorio. E il dipendente non deve guardare lontano, gli è sufficiente sentire quanto vengono pagati i colleghi della società pubblica o a partecipazione mista o vedere la formazione che essi ricevono ed egli non riceverà mai, per capire che il datore di lavoro pubblico non sta puntando su di lui.

Lui è piuttosto una controfigura, un cartonato semovente e assai sbiadito che serve come scenografia. I competenti, gli esperti, i professionisti sono gli altri (che hanno un contratto privato, sono inseriti come quadri e prendono mediamente il doppio di quello che prende lui).

E’ l’organizzazione che è disfunzionale perché si basa sul principio che il vertice amministrativo, quando deve fare le cose serie, non chiama lui, ma contatta (anche di notte) il quadro della società controllata. L’impatto dello smart working ha un po’ rotto questo vizio capitale – che nasce dalla crasi fra il mitico “me cade la penna, ho fatto le sette ore e dodici minuti” e la marginalizzazione professionale dei pubblici volenterosi. Se poi ci mettiamo un ventennio di indifferenza sul tema della formazione, blocco del turn over e tagli di spesa arriviamo a quel che abbiamo oggi: una PA talmente svuotata, una “skeleton crew” direbbero gli inglesi, da non poter non soltanto gestire in proprio il core business, ormai in buona parte esternalizzato, ma da non essere neanche in grado di garantire la governance dei fornitori in house o esterni.

Non è con il premio “impiegato del mese” che si risolverà la questione, ma con la ridefinizione dell’ordinamento professionale.

L’amministrazione ha bisogno di un livello intermedio fra dirigenti di seconda fascia e funzionari (e che venga anche pagato e formato costantemente) o non si esce da questa voragine, né, tanto meno, si potrà risolvere il problema inzeppandola di precari giovanissimi e titolatissimi, ma che non hanno la minima idea di come funzioni la macchina. Un po’ perché dove non ci sono funzionari esperti e volenterosi si ripeterebbe mutatis mutandis il dilemma del “che je famo fa a questi”, un po’ perché in molte situazioni quei funzionari o stanno per andare in pensione o se ne sono già andati e non c’è più nessuno a coprire, da mesi o anni, un settore anche cruciale.

E questi livelli intermedi non possono essere “creati cavalieri sul campo di battaglia”: serve un percorso di formazione gestito da SNA che ne certifichi le competenze, le integri, le arricchisca sulla base di una matrice dei profili professionali specifica per aree o settori di interesse della parte datoriale. Non deve però essere un percorso monstre come quello del corso concorso nazionale che prevede un duro concorso di ingresso e diciotto mesi di formazione (nei quali la persona ovviamente non presta servizio se fosse già un dipendente), ma uno strumento più agile.

Serve definire il perimetro delle loro responsabilità e serve che abbiano una tutela assicurativa ed assistenza legale in caso di responsabilità rilevate da autorità giudiziarie anche contabili. Insomma serve che il datore di lavoro pubblico creda nei suoi dipendenti e che essi percepiscano questa fiducia.

Essere fatto fesso col bonus “impiegato del mese” e una targhetta, mentre il mio lavoro continua ad essere svolto da esterni che cambiano con le scadenze dei contratti aggiudicate a gara e le mie competenze si inaridiscono o sono per lo più sostenute dalla mia volontà di essere discente autodidatta (e quindi non certificato), è il modo perfetto per fare la peggiore specie del gattopardismo all’italiana, in modo da non cambiare proprio nulla di quel che si dovrebbe invece rivoltare come un calzino.