Centrodestra di governo deposita la proposta di commissione d’inchiesta sul piano pandemico

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    Centrodestra di governo deposita la proposta di commissione d’inchiesta sul piano pandemico –

    Il centrodestra di governo – informa un comunicato – ha appena depositato la proposta per istituire la commissione di inchiesta sul piano pandemico. Il documento è firmato da Massimiliano Romeo (Lega), Anna Maria Bernini (Forza Italia, nella foto), Antonio De Poli (Udc) e Paolo Romani (Cambiamo!).

    Questo il testo della relazione che illustra la proposta:

    È ben nota la questione sul piano pandemico italiano, sulla presunta mancanza nel nostro Paese di un documento aggiornato per mettere in campo tutte le misure contro il coronavirus. Un testo che sembrerebbe risalire al 2006 e che sarebbe stato solo formalmente aggiornato nel 2017.

    La presente vicenda è oggetto anche di un’indagine giudiziaria della procura di Bergamo nell’ambito dell’inchiesta sulla gestione dell’epidemia di Covid nella Bergamasca, che comprende la mancata istituzione della zona rossa, l’anomala chiusura e riapertura del pronto soccorso di Alzano Lombardo e i molti morti nelle Rsa.

    L’Italia è stato il paese con il più alto indice di mortalità in rapporto alla popolazione, dimostrando di essere completamente impreparata nell’affrontare tale epidemia, risultando, così, l’anello debole nella difesa dal Coronavirus in Europa.

    Due distinti documenti ricostruiscono le cause per le quali l’Italia sarebbe stata così colta alla sprovvista da tale epidemia.

    In particolare Pier Paolo Lunelli – generale dell’esercito in pensione che nella sua carriera è stato autore di protocolli per piani pandemici in diversi Stati europei – nel proprio rapporto evidenzia che, i contenuti dell’ultimo piano pandemico nazionale sono datati al 2006, non essendo presente alcuna delle prescrizioni indicate nel Regolamento Sanitario Internazionale (RSI) entrato in vigore nel 2007. Inoltre, il generale riporta che per 5 anni su 10, nel 2012, 2013, 2014, 2015 e nel 2017, l’Italia non risulta averrisposto al questionario di autovalutazione proposto dall’Oms sulle proprie capacità in chiave di gestione di una possibile pandemia. Ancora, nel rapporto di Lunelli risulterebbe che non sia stata condotta alcuna esercitazione pandemica a livello nazionale.

    Alla stessa conclusione in ordine all’impreparazione del nostro paese nell’affrontare l’epidemia, è arrivato il Rapporto dell’OMS, An unprecedented challenge – Italy’s first response to Covid-19, in cui è stato stabilito che il piano pandemico più recente a disposizione dell’Italia, quello del 2017, sostanzialmente ricalcasse quello del 2006, preparato dopo la prima epidemia di SARS. Il presente Rapporto OMS è stato pubblicato online in data 13 maggio 2020, ma dopo poco è stato inspiegabilmente eliminato.

    Uno dei ricercatori di questo Rapporto è Francesco Zambon, che ha raccontato alla Procura di Bergamo di aver subito delle pressioni per rimuovere il documento, essendo stato minacciato perfino di licenziamento.

    Il presente documento riporta un’analisi sugli errori commessi dall’Italia nella prima fase della pandemia di Covid-19, prima a livello generale e poi Regione per Regione. Nella parte iniziale si può leggere che: L’Italia non era “totalmente impreparata”, perché aveva “un piano nazionale di preparazione e risposta alla pandemia influenzale” creato nel 2006 dopo l’esperienza della Sars. Lo stesso piano era stato confermato nel 2017, ma “la pianificazione, tuttavia, è rimasta più teorica che pratica”.  Secondo tale rapporto ci si è trovati “non preparati a una simile inondazione di pazienti gravemente malati, la reazione iniziale degli ospedali è stata improvvisata, caotica e creativa”.

    Tali documenti forniscano chiari indizi e prove logiche che certificano la quasi totale impreparazione con cui l’Italia si è trovata ad affrontare l’emergenza Covid-19 non solo sul versante del piano pandemico, ma anche in quello delle risorse materiale e umane.

    Ricostruendo cronologicamente gli eventi, risulta che Il 5 gennaio l’Oms notificava ufficialmente a tutti gli Stati membri l’esistenza nella zona di Wuhan di un focolaio di polmonite da eziologia sconosciuta. Quello stesso giorno il ministero della Salute invia a vari enti tra cui l’Istituto Superiore di Sanità, l’ospedale Spallanzani di Roma e il Sacco di Milano una nota di tre pagine. Oggetto: “Polmonite da eziologia sconosciuta”.

    Da lì a pochi giorni, il 14 gennaio, viene registrato il primo caso fuori dalla Cina, in Thailandia, e successivamente il governo cinese mette in quarantena tutta la città di Wuhan estesa, poi, e a tutta la provincia di Hubei.

    Dunque, già da inizio gennaio il quadro epidemiologico era chiaro, eppure solo il 31 gennaio il Governo italiano dichiarerà lo stato di emergenza.

    Di conseguenza, il meccanismo per la gestione degli eventi anomali o ad eziologia sconosciuta non sembra essere stato pienamente operativo fino al 9 marzo, quando il Governo ha emanato il Dpcm con il quale disponeva misure restrittive applicabili su tutto il territorio nazionale. La mancata predisposizione di azioni preventive ha fatto in modo che si giungesse a questo evento in una condizione di totale impreparazione, venendosi, così, a creare gravissime carenze di carattere strutturale e organizzativo.

    La ratio dei piani pandemici è quella di svolgere una funzione di sorveglianza, un’azione fondamentale nella fase dell’epidemia e che dovrebbe scattare ex ante e non ex post quando ormai la situazione è irreversibile e sostanzialmente ingestibile. In particolare, il piano pandemico italiano prevedeva l’attuazione di misure di prevenzione e controllo dell’infezione attraverso un monitoraggio sul territorio per l’individuazione di eventuali picchi anomali di pazienti con infezioni respiratorie, al fine di intervenire prontamente per circoscrivere i focolai.

    Il 5 gennaio il governo italiano avrebbe dovuto, quindi, prontamente intervenire convocando la conferenza Stato-Regioni, chiedendo a tutte le regioni di attivare le misure previste nel piano pandemico. Al 5 gennaio, secondo il piano pandemico nazionale vigente si era già raggiunta la fase 3, che prevedeva la formazione degli organi di consulenza specifici, la redazione di un piano di dettaglio, la classificazione dei presidi ospedalieri, il controllo di scorte di dpi e respiratori, la formazione del personale sanitario e l’attivazione della rete di sorveglianza per monitorare i picchi anomali di sindromi respiratorie.

    Alla luce di tale quadro, emerge chiaramente l’inadeguatezza del sistema predisposto nelle prime fasi dell’emergenza e anche nell’emergenza stessa. Si ritiene necessario dover addivenire a degli approfondimenti che vadano ad accertare se la situazione si sarebbe potuta domare o, comunque, se si sarebbe potuta ridimensionare se ci fosse stata un’adeguata attività di monitoraggio e sorveglianza. A tal fine, proponiamo l’istituzione di una Commissione bicamerale d’inchiesta che faccia piena luce sulle cause che hanno determinato tale situazione nonché su eventuali cortocircuiti e responsabilità di chi avrebbe dovuto vigilare e predisporre gli opportuni protocolli.

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