Dritti contro il muro

Il vertice sull’economia – che doveva rilanciare la ritrovata intesa fra i dilettanti allo sbaraglio – è finito ancor prima di cominciare. Pare che Tria abbia schierato i vertici del MEF e della Ragioneria Generale e che i tecnici, numeri alla mano, abbiano spiegato che la scarsella è vuota e che con gli slogan i bilanci non tornano. Salvini ha lasciato il tavolo, è salito sul tetto del Viminale (giusto in tempo per farsi beccare dai gabbiani della Capitale) poi si è messo a fare l’unica cosa che sa fare, selfie e dichiarazioni iperboliche prive di contenuti. Di Maio tace (ed è meglio così), Conte si aggiusta la cravatta, Tria si tocca i capelli sudati.

Eccoci qui, dopo un anno di frescacce, provvedimenti sbilenchi e marchette elettorali, con un capo del governo che sembra Zelig e una campagna elettorale permanente, si sta velocemente arrivando al famoso “muro di pietra” sul quale, impietosamente, si infrangeranno le cortine di fumo ed i fuochi d’artificio di questa mesta coalizione.

E così, come sempre accade quando la politica è debole, comanda l’Amministrazione cioè quella parte dello Stato che mantiene il contatto con la realtà, almeno con quella finanziaria e contabile. Bruxelles sta dando una mano al MEF perché i tempi per fermare la procedura di infrazione sono molto ridotti e bisogna decidere cosa fare: Salvini ha una sola scelta davanti, continuare a fare campagna elettorale, continuare a gonfiarsi come un pallone di aria e promesse. Mi chiedo quando scoppierà e mi chiedo come si muoverà il Quirinale la cui giacchetta qualcuno sta schizzando o provando a schizzare di fango. Il tempo però è poco e la massa di debito italiano circolante e pronta ad essere messa in vendita, in un mesto “re-enactement” del novembre 2011 quando Berlusconi dovette uscire da una porta secondaria del Quirinale per evitare il lancio di uova e mele marce. Gli italiani, si sa, sono un popolo dagli umori molto volatili, come la loro memoria.

La domanda quindi è una ed una soltanto: chi farà quel che va fatto per evitare il disastro e cioè che i mercati ci svendano il debito a pezzi di decine di miliardi appena trenta secondi dopo l’avvio della procedura di infrazione? In questi giorni ne abbiamo sentite di tutti i colori, dai minibot in stile “assegnato della Convezione Repubblicana” al condono sui contenuti delle cassette di sicurezza, mentre, poiché sono state prese decisioni tecnicamente errate e basate su marchette elettorali, quello che dovrà avvenire è una nuova e cruda stretta di bilancio con gli immancabili effetti deprimenti sul PIL e sulla domanda interna. Qualcuno pagherà, forse tutti e in modo iniquo con l’IVA, forse solo gli statali ed i pensionati (facili da colpire), forse i fornitori della PA con qualche bel taglio lineare sugli stati di previsione della spesa di Ministeri, Enti ed Agenzie Fiscali. Certo è che occorre agire.

Se facciamo la sintesi dei due argomenti esposti ci rendiamo conto che una ulteriore fuga in avanti di Salvini verso elezioni autunnali, lascerebbe la palla della manovra correttiva ad un Parlamento ampiamente incapace di operare col rischio che nessuna manovra venga approvata. Quale maggioranza alternativa, poi, potrebbe trovare in Parlamento il Capo dello Stato – se Zelig si dimettesse dal ruolo di Presidente del Consiglio? Torneremmo alle formule del “governo di scopo”, del “governo balneare”, del “governo tecnico”? Una sciarada di assai difficile soluzione.

La lezione è  non si esce dalla tenaglia dell’austerità col velleitarismo e le arrampicate sui tetti. Se occorre provare a cambiare le regole bisogna farlo da una posizione di coerenza con quelle che ci sono: qualcuno lo spieghi a Salvini, qualcuno gli spieghi che, dopo aver vinto, bisogna pure saper fare qualcosa e se Salvini governa come cucina, siamo fritti.

CB