Incidenza Covid in età pediatrica al 14%, a giugno era al 4%

Roma – “In Italia l’incidenza dei casi Covid-19 in eta’ pediatrica e’ passata dal 3,7% di agosto al 12.2% di oggi. Nel Lazio, invece, sui 60.646 casi totali, quelli pediatrici sono 9mila e l’incidenza delle due fasce 0-9/10-19 anni oggi si attesta al 14%, sebbene a giugno fosse del 4%”. A dirlo e’ Laura Cursi, dell’Unita’ operativa di Pediatria Generale e Malattie Infettive dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesu’ (Opbg), nella sua relazione sui dati epidemiologici e presentazione clinica dei bambini con Covid presso l’Opbg, al congresso straordinario della Societa’ italiana di pediatria (Sip) in corso fino a domani.

È un trend, quindi, in aumento quello dei casi Covid tra i minori, confermato anche dagli ultimi dati forniti dagli istituti Seresmi e Lazzaro Spallanzani, in cui si evidenzia che in ambito pediatrico le fasce di eta’ 11-13 e 14-18, ovvero gli adolescenti, sono quelle maggiormente colpite.

Entrando poi nel focus della situazione presente all’interno dell’Opbg, “da marzo a settembre sono stati ricoverati 146 bambini con infezione da Sars-Cov-2 di eta’ compresa tra 5 giorni e 17 anni ed un’eta’ media di 6 anni. La diagnosi e’ stata effettuata utilizzando i tamponi nasofaringei e la metodica della pcr real time. La degenza, infine- fa sapere Cursi- e’ stata in media di 5 giorni, nessun paziente ha presentato sequele e non si e’ verificato alcun decesso”.

Passando alla sintomatologia, la pediatra precisa che “il 14% dei bambini era asintomatico e il restante gruppo di pazienti era paucisintomatico. I sintomi principali mostravano un 52% dei casi con febbre, il 25% con tosse, mentre il 23% ha esordito la manifestazione dell’infezione con sintomi gastreointestinali. Seguono poi altre sintomatologie quali la dispnea nel 18% dei casi, l’artromialgia nel 4,8%, la congiuntivite per il 4% e il rush cutaneo sempre per il 4%”. La dottoressa conferma che la trasmissione del virus avviene soprattutto per contatti familiari e, “tra questa popolazione di bambini, il 15% sono figli di operatori sanitari infettati”.

Esaminando nel dettaglio i 146 pazienti emerge che “il 17% presentava malattie croniche (cardiopatia congenita, autismo, sindromi genetiche, encefalopatia ischemica, asma, epilessia, malattie reumatologiche e oncoematologiche) e, tra questi, 5 pazienti hanno avuto complicanze polmonari. Sempre nell’ambito delle complicanze il 13% ha mostrato un quadro di polmonite interstiziale, cosi’ 6 bambini hanno necessitato di ossigeno”, fa sapere Cursi.

Quattro pazienti hanno avuto anche “la sindrome infiammatoria multisistemica (Mis-c), che si e’ sviluppata a distanza dall’infezione da Sars-Cov2. Per monitorare i loro parametri vitali e’ stato necessario trasferirli in terapia intensiva, ma non hanno avuto bisogno di supporto respiratorio, ne’ hanno presentato sequele a distanza”. Un ultimo passaggio Cursi lo dedica alle terapie.

“Quella specifica per il Covid va dalle terapie con azione antivirale alle terapie immunomodulanti e alla profilassi tromboembolica. La terapia di supporto- aggiunge la specialista- e’ stata condotta attraverso la fluidoterapia nel 33% dei casi, con terapia antibiotica nel 28% e con l’idrossiclorochina solo nel 15%.”

“Gli steroidi sono stati adoperati nell’8% dei casi, l’ossigenoterapia nel 7%, l’interleuchina-1 nel 4%, ovvero in quei bambini che avevano il quadro infiammatorio sistemico. Infine e’ stato previsto nel 2% dei casi il trattamento con immunoglobuline endovena, mentre solo un paziente oncologico e’ stato sottoposto alla terapia sperimentale con siero iperimmune”.

Conclude Vincenzo Bembo, pediatra della Sip sezione Lazio, precisando che “la probabilita’ dei bambini di ammalarsi e’ piu’ bassa”, ma non bisogna mai abbassare la guardia perche’ alcuni studi hanno dimostrato “che la carica virale presente nella popolazione pediatrica sintomatica o asintomatica e’ sovrapponibile a quella adulta, senza dimenticare la possibilita’ che i bambini con eta’ inferiore a 5 anni hanno una carica virale superiore.”

“Quindi, dagli studi emerge il rischio che la popolazione sopra i 10 anni possa aumentare il contagio nei confronti della popolazione pari e adulta- termina Bembo- e che il fattore aggravante e’ rappresentato dall’ambiente in cui si muove e dall’uso dei dispositivi di sicurezza”.