L’atteggiamento comunicativo della giunta Raggi rafforza il primo partito, quello dell’astensione.

Fra stasera e domani mattina sapremo i risultati del voto amministrativo. Un dato però è già noto: l’astensionismo è in crescita, almeno per il voto di Roma.

Non mi sorprende.

I cinque anni di consiliatura grillina sono stati caratterizzati da uno stile comunicativo fondato su tre direttrici: accreditarsi come unica forza politica moralmente degna della responsabilità di governare Roma, imputare sistematicamente i problemi alle consiliature precedenti, attaccare a testa bassa ogni voce critica, a prescindere dal merito della critica.

Nel percorrere questa strada che potremmo definire “passivo aggressiva” ci si è avvalsi soprattutto dei profili social della sindaca, del marito della sindaca (!), di assessori, di consiglieri comunali, favorendo l’emergere di profili anonimi o fondati su pseudonimi di sedicenti sostenitori pronti ad aggredire chiunque osasse manifestare un qualche dubbio o dissenso.

E’ una strategia che fa il paio con le modalità di gestione amministrativa: caratterizzate soprattutto dal conflitto e produttive di rimozioni, sostituzioni, avocazioni a catena. L’impreparazione era evidente già all’indomani delle elezioni del 2016: ci vollero mesi per avere una giunta e, nel processo, furono sacrificate le professionalità di garanzia come Marcello Minenna e Carla Raineri. La catena di assessori e vertici di municipalizzate sostituiti è stata continua: AMA e ATAC hanno cambiato più volte i propri vertici in soli cinque anni. Al contrario ACEA è stabilissima: qui dai proclami del 2016 si è passati al silenzioso consolidamento delle quote di Suez (colosso francese della gestione idrica e dello smaltimento dei rifiuti) e di Francesco Gaetano Caltagirone. Se si esclude la vicenda Lanzalone, infatti, su ACEA in cinque anni c’è stato il silenzio: parlano solo coloro che sono stati silurati, sbattendo la porta – come l’ottima ex assessora Pinuccia Montanari (https://www.huffingtonpost.it/2019/03/01/lex-assessore-ai-rifiuti-contro-virginia-raggi-roma-governata-dagli-amici-di-lanzalone_a_23681233/?utm_hp_ref=it-luca-lanzalone).

La Raggi ha preferito puntare tutto sul consenso nelle municipalizzate: il “salvataggio” di ATAC è stato ottenuto a spese dei romani, sacrificando oltre mezzo miliardi di crediti del comune nei confronti della società di trasporti mercè l’intervento di Gianni Lemmetti ex assessore della giunta Nogarin di Livorno (https://roma.corriere.it/notizie/politica/18_maggio_22/atac-affossa-conti-roma-mezzo-miliardo-accantonare-il-debito-04f69224-5e01-11e8-b13c-dd6bf73f9db5.shtml).

Nell’estate del 2020, la Raggi realizza che è necessario riposizionarsi politicamente e, mentre nel 2017 ammetteva a mezza bocca di voler gettare la spugna a fine consiliatura (https://roma.repubblica.it/cronaca/2017/12/19/news/campidoglio_raggi_non_mi_ricandido_a_fine_mandato_-184594677/) eccola che mette il suo partito di fronte al fatto compiuto, non avendo ottenuto né un posto da sottosegretario nel governo Conte I, né il ruolo di commissario straordinario della metro C (https://roma.repubblica.it/cronaca/2020/09/21/news/roma_raggi_impallinata_dal_fuoco_amico_per_il_ruolo_di_commissario_alle_grandi_infrastrutture-268021064/).

L’ultimo fatto fuori è stato il vice-sindaco Luca Bergamo, per non aver concordato con la ricandidatura, sostituito dal pasdaran raggiano Pietro Calabrese e da altri assessori dell’ultimo anno (Lorenza Fruci, Veronica Tasciotti).

Ci vuol poco a fare una valutazione di una consiliatura così che ha sistematicamente espulso i più capaci e favorito i più fedeli, scaricandone i costi sulla cittadinanza che ora, spaesata, sta disertando le urne.

Virginia Raggi

CB