Migranti, emergenza senza fine che fa comodo a molti

La crisi dei migranti è la pietra d’inciampo sulla quale rischia seriamente di cadere tutta la classe dirigente italiana. Troppo presi a litigare su alleanze, correnti, calcoli in base alla legge elettorale, scissioni e fusioni, i nostri politici sembrano la proverbiale orchestrina (stonata) del Titanic e, quando non passano il tempo a rilasciare dichiarazioni o performance di dubbio gusto come il j’accuse unilaterale di Di Maio, una pièce involontariamente fra il serio e il faceto, strumentalizzano la vicenda in modi leciti (Salvini) o meno leciti (vedi l’inchiesta sul centro rifugiati di Mineo, feudo dell’NCD di Alfano e Castiglione).

I cittadini, intanto, si chiedono cosa succederà se, come sembra, il periodo feriale porterà sulle coste italiane altre decine di migliaia di migranti economici – la massima parte dei quali viene da paesi poveri, ma non in guerra – e se dovesse concretizzarsi l’idea del Ministro Minniti, spargendo per la Penisola decine di tendopoli come quella bruciata a San Ferdinando in Calabria due notti fa. Non va meglio dal punto di vista delle “relocation” termine elegante che fa riferimento alla cessione di migranti, secondo un sistema di quote, ad altri stati dell’UE, un sistema che molti non vogliono accettare e che trova la fiera opposizione di paesi come l’Ungheria.

Ci sarebbe una piena intesa fra Italia, Francia e Germania come esito del vertice informale in preparazione della riunione dei Ministri degli Interni dei paesi UE prevista per il prossimo 6 luglio a Tallinn, in Estonia, riunione che, però, a detta del ministro Estone Valvert non prenderà decisioni sul tema della ricollocazione dei migranti, in particolar modo dei migranti economici, trattandosi di un vertice informale.

DI fatto, tutta la gestione dell’emergenza in mare rimane in un cono d’ombra, solo parzialmente squarciato dalle indagini della Procura della Repubblica di Trapani su almeno una ONG sospettata di collegamenti con trafficanti d’esseri umani: in effetti, i cittadini non sanno granché delle modalità operative dei vari soggetti che incrociano nel Mediterraneo, a parte che sono in tanti (Frontex con varie navi militari UE, ONG, mercantili, persino dei privati filantropi che hanno comprato dei natanti all’uopo).

Insomma, mai come in questi mesi il “mare nostrum” è poco nostro e molto degli altri che accorrono a poche miglia dalle coste libiche per soccorrere migliaia di persone, per la massima parte migranti economici, e poi le sbarcano nei porti del sud Italia, lasciando al sistema dei centri di accoglienza e del Viminale, del terzo settore e della cooperazione il compito di gestire la situazione.

I numeri, però, crescono di giorno in giorno, le occasioni di “business” si moltiplicano, le fughe dai centri sono una realtà acclarata, come anche la sordità francese ed il blocco del confine con l’Italia, mentre i tedeschi, chiusa la porta balcanica dopo aver riempito le tasche turche di soldi UE (quindi anche italiani), fanno orecchie da mercante ai lamenti tricolori.

Tutti sappiamo che il peccato originale fu non opporsi alle smanie di Sarkozy ed impedire il crollo del regime di Gheddafi: affidare al colonello, pagando, il blocco dei migranti economici era certamente un atto assai poco umanitario – sfido chiunque ad apprezzare l’ospitalità nelle galere libiche e nei campi di detenzione in mezzo al deserto -, ma era anche una soluzione pragmatica.

La debolezza del governo italiano dell’epoca, in piena antitesi alla tradizionale logica geopolitica nei confronti dei paesi del nord Africa che aveva caratterizzato la politica estera italiana, con tutti i suoi limiti, nei decenni della Prima Repubblica, è storicamente ascrivibile al declino della qualità della classe dirigente italiana post Mani Pulite. Oggi paghiamo quell’errore: la Libia è uno stato fallito, sostanzialmente decomposto in tre entità distinte, Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, con due contendenti in lite e un difficile, se non impossibile percorso di ricostituzione nazionale davanti.

In pratica, abbiamo concorso in modo determinante a creare il trampolino perfetto per barconi e canotti stracarichi di disperati per poi fare in modo che chiunque, senza alcun controllo sui suoi rapporti finanziari ed i suoi veri interessi, possa prestare soccorso in mare e poi consegnare il carico a destinazione. Cioè, inevitabilmente un porto italiano.

Dubito tuttavia fortemente che questa classe politica abbia la forza e la coesione di imporre un cambio di approccio a fine legislatura e con gli schieramenti già in preda alle convulsioni pre elettorali, per spremere qualcosa dai “partner” europei, specialmente se ci si presenta al tavolo con precedenti edificanti come quello del CARA di Mineo. Temo, invece, che tutto quel che vedremo sarà la strumentalizzazione mediatica della questione a fini elettorali ossia chiacchiere, chiacchiere e solo chiacchiere, mentre è assai probabile che emergenze locali con problemi anche gravi all’ordine pubblico possano esplodere a macchia di leopardo, specialmente nel Mezzogiorno.

 

Cosimo Benini