Ostia, Ospedale Grassi accoglie rifugiato ucraino in dialisi

Roma – È stato accolto presso l’Unità di Nefrologia dell’Ospedale Grassi di Ostia, S.V. arrivato in Italia per curarsi, dopo esser fuggito dalla guerra in Ucraina. È solo uno dei circa 10.000 pazienti che hanno bisogno della dialisi per sopravvivere e che ancora si trovano nel Paese, dove sono già tre i centri di nefrologia bombardati.

L’uomo, che ha 62 anni ed è in dialisi da circa 4 anni, era in cura precedentemente presso il centro di Chernihiv, a 60 chilometri dal confine russo, città di recente pesantemente bombardata. È stato portato dalla figlia, attraverso un percorso a piedi di 5 chilometri, in Polonia. Qui è stato dializzato in urgenza nell’ospedale della capitale, Cracovia, e successivamente trasportato a Roma, grazie all’interessamento di alcuni conoscenti.

“Le sue condizioni erano peggiorate in seguito alla sospensione della dialisi, ma ora sono in miglioramento. Immediatamente, il paziente è stato accolto nella Asl Roma3, diretta dalla dottoressa Francesca Milito, già impegnata da giorni ad attivare tutte le strutture pubbliche per fornire al meglio assistenza medico-sanitaria ai profughi in arrivo su questo territorio, in particolare presso il centro dialisi dell’ospedale Grassi. Qui S.V. è stato trattato adeguatamente e ora è ricoverato nel reparto di Nefrologia. Per lui, dopo inimmaginabili peripezie, il peggio è passato, ma in Ucraina vivono circa 10.000 pazienti in trattamento dialitico cronico”, spiega Massimo Morosetti, direttore dell’u.O.C. di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale Grassi di Ostia e presidente della Fondazione Italiana del Rene (FIR).

Quando i reni non sono più in grado di svolgere le normali funzioni di eliminazione delle scorie, del mantenimento della composizione dei liquidi corporei, della produzione di ormoni, spiega una nota dell’ospedale Grassi, si parla di insufficienza renale, termine che indica la riduzione della capacità di filtrare correttamente il sangue. Se nel corpo si accumulano liquidi, elettroliti e sostanze di rifiuto, in alcuni casi la malattia può avere anche esito fatale.

Per evitarlo, si interviene con la dialisi, terapia medica che sostituisce parzialmente la funzionalità dei reni rimuovendo dal sangue sostanze di scarto e liquidi. Per farla, il paziente deve però necessariamente uscire dalla propria abitazione tre volte a settimana per recarsi al proprio ospedale di riferimento.

“Immaginate in una condizione di guerra, con i relativi coprifuoco e rischi connessi agli spostamenti- prosegue Morosetti- cosa questo significhi. A ciò si aggiunga che in Ucraina alcuni centri dialisi, in particolare quelli di Chernihiv, Cherkasy e Kharkiv sono stati bombardati. Molti pazienti hanno avuto notevoli difficoltà ad eseguire il proprio trattamento di dialisi in questi giorni, con conseguenze per la propria salute, anche gravi”.

Cercare di lasciare il Paese, per chi si trova in queste condizioni, è ancora più complicato che per gli altri, perché non può gestire la malattia lontano dal centro di cura.

“Siamo in stretto contatto con i nostri colleghi in Ucraina, che ci raccontano le enormi difficoltà che stanno affrontando in queste settimane nel cercare di continuare a curare e assistere i loro pazienti- sottolinea il presidente Fir- A Kharkiv, che si trova a 30 km dal confine con la Russia e ha subito combattimenti pesanti oltra al bombardamento di zone residenziali, il Centro di nefrologia continua a funzionare sotto il coprifuoco e accoglie circa 66 pazienti.”

“Chernihiv, così come Kharkiv, è una delle aree più pericolose in questo momento ma il Centro nefrologico continua ad operare in un seminterrato completamente attrezzato e ha in cura 119 pazienti. Infine, Cherasy, si trova nel centro dell’Ucraina, ed è l’hub nefrologico centrale dove sono trattati attualmente circa 160 pazienti.”

“La comunità Nefrologica italiana, per tramite del ministero della Salute, del ministero degli Esteri e delle Regioni- conclude Morosetti- si è resa disponibile, sin dall’inizio del conflitto, a collaborare in tutte le forme possibili per cercare di assicurare adeguate cure ai pazienti ucraini”. (Agenzia Dire)