Di Pietro: non voto Berlusconi, non soffro la demenza senile

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    ANTONIO DI PIETRO: “BERLUSCONI? NON LO VOTERO’, NON SOFFRO DI DEMENZA SENILE. IMPRESENTABILI? LA MAFIA E’ NELLE ISTITUZIONI DAL DOPOGUERRA. INCHIESTA FANPAGE? BISOGNA DISTINGUERE TRA LA SCOPERTA DI UN REATO E LA PROVOCAZIONE DI UN REATO”, DICE A RADIO CUSANO CAMPUS

    Roma – Antonio Di Pietro è intervenuto stamattina ai microfoni di ECG, il programma condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio su Radio Cusano Campus, l’emittente

    Antonio Di Pietro

    Antonio Di Pietro

    dell’Università degli Studi NIccolò Cusano.

    Sul clima che si respira in questa campagna elettorale: “Stanno accadendo dei fatti gravi, gli autori materiali di violenze e aggressione sono più pazzi che mossi dall’ideologia. Si sta inasprendo la campagna elettorale, la storia di fascisti e antifascisti sta diventando una cosa vergognosa, da una parte e dall’altra”.

    Sul rischio che le mafie condizionino il voto: “E’ dal dopoguerra che la mafia si è inserita all’interno delle istituzioni. Dai tempi di Ciancimino e di tanti altri. Hanno capito subito che non bastava più la coppola e la lupara, che bisognava entrare nelle istituzione. Mafia null’altro è che connubio tra affari, politica e criminalità. E questo era stato già scoperto ai tempi di mani pulite”.

    Sulla necessità di cambiare la Legge Severino: “Quando c’è da accertare il comportamento di una persona, bisogna farlo prima che vada dentro le Istituzioni. E se è già dentro le Istituzioni, anche se è innocente, deve uscirne e far valere le proprie ragioni. Io l’ho fatto sulla mia persona sia quando ero magistrato che quando ero ministro”.

    Sull’inchiesta di Fanpage: “L’inchiesta mani pulite nasce proprio così. Nasce perché io vengo a sapere che un certo imprenditore deve dare sette milioni di lire a Mario Chiesa, lo mando in scoperta insieme a un infiltrato della polizia, quando Chiesa prende i soldi viene arrestato in flagranza di reato. A mio avviso va fatta un’enorme distinzione tra colui che per conto dell’autorità giudiziaria entra dentro il sistema delinquenziale e viene a sapere di una notizia perché vi partecipa e quindi ascolta un reato che viene commesso mentre è già in contatto con l’autorità giudiziaria”.

    “Bisogna distinguere tra istigazione a delinquere e infiltrato che ascolta ciò che avviene. Se partiamo dall’impostazione invece che andiamo a provocare un reato e non a scoprire un reato finisce che non si capisce più chi è più delinquente dell’altro. Bisogna agire sempre sotto il controllo e l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria. Bisogna distinguere tra la scoperta di un reato e la provocazione di un reato. Perché a quel punto non sai più chi è che lo sta commettendo il reato”.

    Sulla figura dell’agente provocatore: “Io ho fatto un apposito disegno di legge con cui ho previsto la figura dell’agente provocatore sotto il coordinamento dell’autorità giudiziaria. Se manca questo, non sai più se l’agente provocatore è effettivamente un agente provocatore o un corruttore. Altrimenti ogni volta che tu scopri qualcuno quello può risponderti che non stava corrompendo, ma che stava facendo l’agente provocatore. Prendete il caso del figlio di De Luca: fossi di quella cerchia lì, di quelli che venivano indotti da chi gli andava a proporre i soldi, direi che io stavo facendo la stessa cosa e che appena quello mi dava i soldi avrei chiamato la polizia. L’agente provocatore serve, ma deve sempre coordinarsi con l’autorità giudiziaria. Altrimenti ogni volta che uno viene preso può dichiarare di essere un agente provocatore”.

    Sulle prossime elezioni: “Non voterò Pd. Sicuramente neanche Berlusconi. Non soffro di demenza senile”.

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