Roma affonda: Raggi inerte, cittadini anche.

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Di questa consiliatura sarà ricordato l’incredibile tasso di litigiosità, l’enorme numero di assessori e vertici di municipalizzate sostituiti e non sempre rimpiazzati, la totale incapacità di gestire i mal di pancia e le crisi senza fare piazzate sui social. A fronte di questa sintassi della sincope permanente – che trasforma ogni piccineria in una catastrofe da dare in pasto alla stampa che ci inzuppa il pane – i risultati sono davvero modesti. Roma è, per lo più, una città in affanno con i servizi di base: pulizia, manutenzione stradale, potature degli alberi. In fondo, i cittadini non pretendono fantasmagorie, ma un minimo di decoro urbano, strade e marciapiedi che non siano pericolosi e di non dover rischiare la vita per caduta rami ogni volta che spira un po’ di vento. Trasporto locale e gestione dei rifiuti sono poi la cartina di tornasole della cronica incapacità di questa Giunta di fare il proprio mestiere: è servito sostituire N assessori ed M direttori generali-amministratori delegati-consiglieri in 2 anni e mezzo? No. I problemi sono strutturali e sono tutti lì.

Atac continua a perdere soldi, l’offerta di trasporto pubblico cala ogni anno, la metro – anche la nuova metro C – ha un sacco di problemi di manutenzione (capitolo scale immobili), mentre la crisi del ciclo dei rifiuti è strutturale e richiede una capacità di mediazione e di dialogo fra istituzioni locali – Regione e Comune – che certamente è mancata da entrambe le parti.

Sono tutti fattori che mettono in crisi l’economia della città e, in agguato, c’è anche la futura autonomia differenziata che toglierà posti di lavoro e risorse pubbliche alla Capitale, un regalo del governo “amico” giallo-verde che, al momento, non ha investito un euro sulla città, lasciandola a galleggiare sul mare nero del proprio debito (e del debito delle proprie municipalizzate) senza che, a livello locale, si evidenziasse la capacità di prendere decisioni operative.  Anzi, si conferma proprio a Roma quella valenza negativa della politica che, lungi da essere motore della società, finisce per diventare ostacolo, melassa viscida, palude mefitica che tutto ferma o rallenta sino alla paresi definitiva.

La colpa, alla fine, è anche dei cittadini romani che accettano ogni cosa, anche di rischiare la vita sotto le fronde di qualche vecchio albero non curato o di morire bruciati nel rogo di un autobus non adeguatamente manutenuto o non sostituito o, infine, di rompersi qualche osso cascando in qualche buca, per strada o sui marciapiedi.

Se l’avvocatura comunale tenta di accreditare in giudizio l’idea che la notorietà delle condizioni del manto stradale determini una presunzione di colpa a carico del cittadino infortunato e non a carico del comune inerte, essa non fa altro che prendere atto dell’atteggiamento della maggioranza dei cittadini di questa città, i quali non fanno una piega se il vicino ci rimane fra rami, buche e roghi.

Tutto ciò che è oltre lo zerbino sul pianerottolo non è un problema mio, sembra dire il civis romanus (che di civico e civile ha ormai molto poco), ma fino a quanto si possono tenere i disagi fuori dalla porta di casa?

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