Rettrice Sapienza: far crescere approccio ricerca-formazione

Roma – “Abbiamo assoluto bisogno di alimentare e far crescere una ricerca che sempre di più negli ultimi anni ha posto l’attenzione su un’analisi di fattori individuali, sui bisogni educativi specifici, con un approccio approfondito sulle traiettorie personali di sviluppo. Una ricerca come quella pediatrica che si traduce in una formazione specifica, attenta a fornire risposte tempestive e concrete sulla necessità di saper cogliere indicatori di rischio per i nostri bambini, di saper fare prevenzione e diagnosi, e saper discriminare le compromissioni che si possono avere da semplici ritardi nell’acquisizione di abilità che in età pediatrica sono in evoluzione”. Lo sostiene Antonella Polimeni, rettrice della Sapienza Università di Roma, intervenuta al 76esimo Congresso italiano di pediatria della Società italiana di pediatria (Sip).

Formare i futuri pediatri significa, prosegue la rettrice, fornire loro “competenze utili a costruire una relazione di aiuto” fondata su “modalità di comunicazione che facciano sentire l’altro incluso e accettato”. Secondo Polimeni, non si può parlare di formazione senza parlare anche di ricerca e viceversa.

“Ricerca e formazione devono essere considerate un assoluto circolo virtuoso. In una democrazia avanzata, quale siamo noi, la rilevanza dell’evidenza scientifica deve portare alla conseguenza della ricerca come motore della produzione della scienza, ma anche a una richiesta che i cittadini sappiano di scienza”.

Affinché questo accada, “il problema cruciale che dobbiamo affrontare è la condizione di minorità culturale di molti cittadini del nostro pianeta. Oggi- spiega la docente universitaria- io considero che questa minorità sia sempre più correlata con la mancata disponibilità di conoscenza”, l’accesso alla quale “fatalmente diventa sempre più privilegiato”.

Inoltre, “la formazione non possiamo considerarla soltanto come un arricchimento delle competenze individuali, ma anche come uno strumento straordinario di democrazia, una forma di contrasto alla povertà e alle disuguaglianze. Ad oggi- aggiunge con forza la rettrice- io dico che si usa in modo molto residuale la leva della formazione. Ci sono delle criticità che il nostro Paese non è stato in grado di affrontare in maniera strutturale”.

Tra queste criticità emergono l’abbandono scolastico sul fronte della formazione e gli scarsi investimenti sul fronte della ricerca. Riguardo l’abbandono scolastico, “nonostante i progressi degli ultimi anni, rispetto all’Europa, ci collochiamo ancora nelle ultime posizioni- ricorda Polimeni- nella capacità di garantire ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze un titolo di studio che sia sufficiente (la maturità o una qualifica professionale) per entrare in questa società della conoscenza.”

“La Relazione di monitoraggio del settore dell’istruzione e della formazione per il 2020, il cosiddetto indice ELET, è estremamente elevato”, ciò significa che “la percentuale di giovani che sono nella fascia di età compresa tra i 18 e i 24 anni, che hanno abbandonato l’istruzione e la formazione dopo la terza media è stata del 13,5%”.

Un dato che persiste, tiene a sottolineare la rettrice dell’ateneo romano, sebbene “l’Italia abbia un sistema di accesso poco costoso rispetto ad altri paesi e nonostante l’esistenza di una no tax area. Tuttavia quasi 13 milioni di persone (ovvero il 39% del totale della fascia di età tra i 25 e i 64 anni) possiedono un titolo di studio equivalente alla terza media e un adulto su due ha potenzialmente bisogno di riqualificazione”.

Anche “il nostro numero di laureati- aggiunge la rettrice- è largamente al di sotto della media europea. Queste sono delle criticità che vanno comunque affrontate in maniera strutturale e sistematica” alle quali si aggiunge, secondo la docente, “un grande tema di debito formativo (conseguenza della pandemia, ndr) che i nostri studenti di scuole medie e superiori si trascineranno una volta entrati all’università. Un tema che dovrà occupare gli atenei per dei programmi di tutoraggio che andranno sicuramente rinforzati”.

Sul fronte della ricerca, Polimeni riporta l’attenzione sulla elevata “produttività scientifica del nostro paese”, dimostrata dall’impatto “delle citazioni medie nelle pubblicazioni scientifiche, che è migliore rispetto a quello di paesi come la Francia e la Germania e addirittura, al di fuori dell’Europa, anche degli Stati Uniti”.

Un dato importante soprattutto se si considera che “il numero di ricercatori e di docenti è inferiore rispetto a quello degli altri Paesi” e che “la quota del Pil dedicata in Italia alla spesa per la Ricerca e allo Sviluppo è nettamente inferiore alla media dell’Unione Europea e dei principali paesi Ocse”.

In conclusione, dunque, Polimeni ribadisce che “ricerca e formazione non possono essere mai considerate come dei domini separati, ma vanno viste in uno spazio di interscambio osmotico”, con l’obiettivo di “arrivare a un patrimonio di conoscenza che possa guidare percorsi orientati all’azione e alle nuove scoperte scientifiche”.