Se il Quirinale tenta il bluff…

Giocarsi così la carta Draghi potrebbe rivelarsi un grosso azzardo per due motivi.
Il primo: stiamo spendendo una risorsa “definitiva” la cui credibilità personale è ai massimi livelli oggi, ma potrebbe venire “macchiata” in caso di insuccesso. Un elemento di cui lo stesso ex Governatore di Bankitalia ed ex Presidente di BCE potrebbe tener conto, se vedesse troppe insidie apparire sull’incerto sentiero verso la fiducia, inducendolo a non sciogliere la riserva, tirandosi fuori con eleganza da un maledetto trappolone.
Il secondo: accetterà Draghi dei compromessi al ribasso con partiti riottosi e, a parole, antisistema e che poi, nei fatti, si sono rivelati più poltronisti di altri, rinunciando al contempo a quel “governo degli ottimati” che l’opinione pubblica si attende da un nome di tale prestigio? Improbabile.
Il “sentiment” popolare su Draghi è duplice ed ambiguo: da un lato chi lo invoca come “riscatto della competenza sull’incompetenza”, dall’altro “il popolo” che, a seconda di colui che se ne fa interprete, “pretende elezioni” (Meloni) ovvero “resta leale a Conte” (parte dei grillini). I partiti ne tengono conto.
La Lega, infine, sta nel mezzo, come sempre più spesso accade, in base alla componente che prevarrà (quella governista di Giorgetti o quella “populista” di Salvini con il primo che cercherà di persuadere il secondo delle ragioni dell’interesse nazionale).
Ci sono dei compromessi possibili, ovviamente.
Il più semplice sarebbe, appunto, un “governo degli ottimati”, un gabinetto Draghi anche nei nomi e nel rapporto personale con i ministri dal quale i partiti si terrebbero fuori in cambio di una scadenza del governo predefinita e di un limitato programma “emergenziale”.
Ma nel contesto attuale ciò è impossibile.
Il primo presupposto è minato dall’approssimarsi del semestre bianco: se il gabinetto nascerà sarà impossibile andare al voto dopo il 30 giugno e nel 2022 questo Parlamento dovrà eleggere un nuovo Capo dello Stato.
Il secondo presupposto è conseguenza del primo poiché se la durata del governo che (forse) nascerà sarà superiore a sei mesi, non potrà esserci certo un “governo di scopo”, ma un governo politico con pieni poteri e ampia discrezionalità di scelta delle linee programmatiche, a partire da certe priorità indicate dal Quirinale.
In sintesi, si tratta di mettere insieme acqua (la competenza degli ottimati) con l’aceto (la rissosa corsa al tornaconto politico di ciascun partito) rischiando un guazzabuglio capace di vanificare anche la mossa di Mattarella.
E’ molto difficile che Draghi si esponga se le consultazioni non gli garantiranno il sostegno che è necessario e non credo che il Presidente incaricato abbia intenzione di riaprire quel mercato delle pulci indegno che ha portato a questo sfacelo.
Inoltre, non si può chiedere al personaggio di gestire un governo elettorale che dovrebbe sopravvivere per pochi mesi (da oggi fino a fine maggio, ipotizzando che si voti a giugno). Anche in questo caso l’esito sarebbe un non scioglimento della riserva ed una rinuncia.
Ecco perché la via scelta da Mattarella potrebbe non pagare.